DI Ilenia di Summa
Nel panorama lirico, non solo italiano, il 7 dicembre rappresenta una data importantissima: la prima del Teatro La Scala. Quest’anno, ad inaugurare la stagione teatrale è il Boris Godunov, del compositore russo Modest Musorgskij.
A partire da più di un secolo fa, tre grandi direttori d’orchestra hanno portato in scena l’opera al Tempio della Musica: Arturo Toscanini, Claudio Abbado, ed ora, Riccardo Chailly, il quale afferma: “Il Boris Godunov di Modest Musorgskij, che presentiamo nella regia di Kasper Holten, ebbe nel nostro teatro la sua prima rappresentazione italiana nel 1909 con la direzione di Eduardo Vitale e Fëdor Šaljapin come protagonista e rimase nelle stagioni successive come presenza costante, in particolare grazie ad Arturo Toscanini che lo diresse per quattro stagioni tra il 1922 e il 1927, ad Antonio Guarnieri che lo ripropose nel 1935, 1941 e 1946, e quindi, tra gli altri, ad Antonino Votto e Gianandrea Gavazzeni. Nel 1979 fu la seconda opera non italiana ad a inaugurare la stagione il 7 dicembre dopo il Fidelio diretto dal Karl Böhm, nel 1974 una scelta di apertura voluta da Claudio Abbado, che ne diede un’interpretazione memorabile insieme al regista Yuri Ljubimov. Ero allora assistente di Abbado e ricordo i mesi di prove per realizzare uno spettacolo molto innovativo che fu anche oggetto di critiche ma che è poi rimasto nella storia interpretativa dell’opera oltre che in quella della Scala”.
Il Boris Godunov fu accolto in patria con scarso entusiasmo: l’editore si rifiutò di pubblicare il lavoro e i Teatri Imperiali non vollero rappresentarlo. Successivamente, l’autore modificò parzialmente la partitura e l’opera andò in scena, per la prima volta, nel 1873 al Teatro Mariinskij . Tra i lavori diretti dal Maestro Chailly, il Boris Godunov è forse quella che più si addice alla sua bacchetta, per via delle sonorità e dell’atmosfera cupa, elementi che riesce a gestire e a restituire con grande abilità all’ascoltatore. La vicenda si sviluppa in una Russia contadina, ignorante e superstiziosa, fra il XVI e il XVII secolo, in un periodo chiamato dagli storici “epoca dei Torbidi”, e narra la storia del boiaro Boris incoronato zar, dopo l’omicidio da lui compiuto ai danni dello zarevic Dimitrij, figlio di Ivan il Terribile. Col tempo, il senso di colpa prende il sopravvento sulla sete di potere, in un crescendo di rimorso che si conclude con la morte del protagonista.
Sul palcoscenico, i personaggi interagiscono su una grande pergamena bianca, una pagina nella quale si scrive metaforicamente la storia della ricerca della verità.
La scelta di portare un’opera russa alla Prima della Scala, in questo 2022, non ha mancato di generare polemiche, non ultime quelle scaturite dalla richiesta del Console ucraino a Milano, di cancellare la programmazione. A questo proposito, il sovrintendente Dominique Meyer, in conferenza stampa, ha cercato di riportare l’attenzione sull’opera e sull’allestimento, che definisce “di grande bellezza e di alto livello estetico”, invitando a leggere il libretto e a vedere lo spettacolo.