L’Italia produce tra le migliori lenticchie al mondo, ma noi mangiamo le straniere

24 Luglio 2018
8dbbee030b1eab93d5a5f18c7518a082

La gran parte dei legumi, in particolare lenticchie, piselli e ceci, consumati in Italia non sono di origine nazionale. Questo dato potrebbe non essere allarmante se alla base non ci fossero dei problemi nella coltivazione di questi prodotti alimentari.

Nel 2011 l’Unione Europea rigettò un carico navale di lenticchie, poiché il limite massimo residuo (LMR) di glifosato (uno dei diserbanti più utilizzato al mondo) superava lo 0.1 PPM (nr. di parti per milioni) come la normativa comunitaria richiedeva. Il 13 gennaio 2012, a seguito di una richiesta da parte di multinazionali del settore chimico e dopo una contrattazione, la European Food Safety Authority (EFSA) innalzò i limiti a circa 10 PPM.

Secondo i dati FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) è l’India il più grande produttore con 16/17 milioni di tonnellate di legumi destinati prevalentemente al consumo interno.

A seguire, i più grandi paesi produttori al mondo sono Kazakistan, la regione del nord-est della Cina, gli stati più a nord degli USA e il Canada. È proprio da questi ultimi che provengono i legumi che consumiamo in italia. Zone che presentano tutte lo stesso problema: la difficoltà a far raggiungere la maturazione e l’essiccazione naturale del prodotto in campo richiedendo, quindi, l’utilizzo di disseccanti immediatamente prima del raccolto. In questi paesi difatti, le condizioni climatiche riducono fortemente il ciclo produttivo ed emerge dunque la necessità di anticipare la raccolta attraverso la tecnica del disseccamento con l’utilizzo di prodotti chimici che permettono di livellare in modo omogeneo la maturazione delle leguminose prima del ritorno della stagione fredda.

Questo processo viene in molti casi effettuato con prodotti come il Glyphosate, il Diquat, il Saflufenacil il Glufosinate e il Flumioxazin, sostanze che le più importanti associazioni di produttori del mondo riportano tranquillamente sui loro disciplinari di produzione. Questo intervento permette di poter trebbiare 4-7 giorni dopo l’applicazione del disseccante, a seconda delle condizioni climatiche e a dispetto dei tempi di carenza indicati dalle stesse case produttrici di disseccanti, che normalmente non è inferiore a 30 giorni.

In diversi esperimenti è stato dimostrato che la disseccazione ha aumentato la quantità di prodotto raccolto del 14%. Ciò mostra il potenziale ruolo del dissecante affinché l’anticipo della raccolta permetta di evitare danni del tempo.  

Il problema dei disseccanti chimici è emerso in maniera rilevante soprattutto negli ultimi anni, grazie a una elevata sensibilità dei consumatori e a maggiori normative sulla sicurezza alimentare. Una serie di prove e studi hanno dimostrato e confermato la pericolosità dell’utilizzo di tali prodotti per la salute umana.

L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), organo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che coordina gli studi in campo oncologico, ha classificato il glifosato, erbicida più venduto al mondo, fra i probabili cancerogeni. Quasi tutte queste sostanze rientrano tra gli “Endocrine Disruptors” ovvero interferenti endocrini che alterano la funzionalità del sistema endocrino. Inoltre esperimenti condotti su cellule umane embrionali, placentari e del cordone ombelicale, hanno dimostrato che il glifosato influisce sull’esito della gravidanza.

Dall’ultimo report annuale del Ministero della Salute, pubblicato lo scorso 14 marzo, relativo al 2016, l’Italia risulta essere, invece, tra le prime della classe nell’Unione Europea per quanto riguarda l’analisi dei residui di prodotti fitosanitari negli alimenti. Dal report emerge, infatti, l’estrema attenzione del nostro Paese in tema di sicurezza alimentare, nettamente al di sotto della media europea (1,6%).

I fitofarmaci, denominati anche prodotti fitosanitari o agrofarmaci, sono tutti quei prodotti di sintesi o naturali che vengono utilizzati per combattere le principali avversità delle piante quali malattie infettive, fisiopatie, attacchi fungini, parassiti e fitofagi animali, piante infestanti. Più frequentemente sono chiamati anche pesticidi. Su un totale di 11.263 campioni analizzati, soltanto 92 sono risultati superiori ai limiti massimi consentiti dalla normativa vigente, pari a una percentuale di irregolarità dello 0,8% a fronte del 99,2% dei prodotti a norma di legge.

Purtroppo però la quantità di legumi consumati in Italia continua ad essere di origine straniera.

Un dato allarmante e controproducente per il nostro paese che risulta invece possedere un clima perfetto per la coltivazione dei legumi. Più del 60% delle leguminose è coltivato in Sicilia, Abruzzo, Toscana, Marche e Puglia.

In Puglia è Altamura, nell’entroterra barese, il territorio dove si coltiva una lenticchia considerata da molti chef una delle  più  pregiate al mondo. Dopo un periodo fiorente che risale agli anni ’30, in cui la Lenticchia di Altamura era fortemente apprezzata nei mercati internazionali come Germania, Canada e Australia, si è quasi estinta. Tra gli anni ’60 e ’70 la coltivazione del legume si è pian piano diradata a causa della politica di ringrano, che puntava a sfruttare al massimo i campi dove cresceva il grano duro.

Ora la coltivazione di lenticchia vive un momento florido, grazie al lavoro degli agricoltori del posto e si sviluppa sempre di più la produzione di lenticchie da agricoltura biologica che crescono senza l’utilizzo di pesticidi e fungicidi. Tutto avviene nel rispetto dell’ambiente circostante, tanto è che oltre la metà del territorio di produzione rientra nel Parco Nazionale della Murgia.

Il consumo del prodotto italiano potrebbe generare una ricchezza enorme per gli agricoltori garantendo produzioni sostenibili e di origine nazionale, ma soprattutto porterebbe prodotti privi di pesticidi sulle tavole italiane.

Chiara Curci

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa