DI Maristella Mancini
A pochissime settimane dall’avvio ufficiale della stagione estiva, si affaccia sulle coste pugliesi (e non solo) un potenziale problema, che desta preoccupazioni fra gli operatori turistici: la presenza del “vermocane”, il cui nome scientifico è Hermodice carunculata, ma è noto anche come “verme di fuoco”. Si tratta di un verme marino errante, originario del Canale di Suez, ma che, a causa del riscaldamento delle acque del Mediterraneo, si è diffuso nei fondali rocciosi dei nostri mari e si nutre di piccoli animali e di carcasse. È lungo generalmente dai 20 ai 30 cm, ma sono stati avvistati esemplari aventi una lunghezza di circa 1 metro; presenta colori estremamente sgargianti ed è dotato di setole laterali urticanti, le quali, a contatto con la pelle, provocano irritazioni dolorose, prurito e, talvolta, anche febbre. Le tossine prodotte dal vermocane sono oggetto di studio.
Roberto Simonini, ecologo dell’Università di Modena e Reggio Emilia, afferma: “Siamo arrivati a caratterizzare una sostanza irritante, ma siamo ancora lontani anni luce dal pensare a eventuali rimedi contro le punture.” E aggiunge: “Se la puntura avviene in punti in cui la pelle è spessa si sente un bruciore localizzato, simile a quello provocato dall’ortica, ma se vengono punte zone in cui la pelle è più sottile, come l’incavo del gomito o quello del ginocchio, allora il dolore è decisamente forte e duraturo”.
Al momento, per lenire il dolore e il bruciore, si ricorre ad applicazioni a base di cortisone. Gli esperti raccomandano di non fregare la parte punta, in quanto le setole si romperebbero e provocherebbero un’infiammazione ancora più estesa e dolorosa.
La prassi medica suggerisce di asportare le setole delicatamente, stringendole fra pollice e indice; in alternativa, è possibile usare del nastro adesivo da appoggiare sulla zona punta, in modo da staccare le setole urticanti dalla cute. L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ha alzato la soglia di attenzione sulle coste della Campania e della Toscana, oltre a quelle, già note, di Sicilia, Calabria e Puglia. A tale proposito, è stato elaborato un progetto dell’Ogs, di concerto con le Università di Modena e Reggio Emilia, di Catania e di Messina, finalizzato alla promozione di una campagna informativa a vantaggio della popolazione e dei turisti. A causa della loro voracità e della capacità di rigenerarsi se spezzati in due, sono considerati un serio problema sia per le specie presenti nelle riserve marine, come i coralli, sia per gli stessi pescatori, i quali si ritrovano le reti saccheggiate.
Secondo gli esperti, esemplari di questa specie sono presenti nelle acque del Mediterraneo sin dalla prima metà del 19^ secolo, ma fino a pochi anni fa, gli avvistamenti erano abbastanza rari e quasi sempre in prossimità di rocce e scogli. L’attuale diffusione è, pertanto, legata ai cambiamenti climatici: le acque del Mediterraneo hanno fatto registrare un innalzamento della temperatura di 1,5° fra il 1982 e il 2018. Sarà importante monitorare la situazione, anche per comprendere e gestire i possibili impatti sugli ecosistemi costieri, a breve e medio termine; non meno significativo è ritenuto il contributo dei cittadini, i quali, anche con semplici post sui social, possono fornire preziosi contributi alla ricerca scientifica.