DI Ilenia di Summa
Il Ministero della Salute, di concerto con il Ministero dell’Agricoltura e Sovranità alimentare, hanno presentato un disegno di legge riguardante “disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi sintetici”. Si tratta di un disegno di legge, passato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 28 marzo, che vieta, sul territorio nazionale, la produzione e la commercializzazione di alimenti sintetici, destinati al consumo umano e a quello animale.
Le sanzioni, per chi dovesse violare tale divieto, vanno da un minimo di euro 10mila ad un massimo di euro 60mila; è anche prevista una sanzione pari al 10% del fatturato annuo, qualora il medesimo fosse superiore ad euro 60mila, oltre alla confisca del prodotto.
Le reazioni non si sono fatte attendere. La maggior parte delle associazioni di categoria, da Coldiretti a CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) hanno accolto con soddisfazione la norma; mentre, la stessa sta riscontrando un certo scetticismo da parte del mondo scientifico.
Come era prevedibile, la normativa divide. Vediamo di capire, nel dettaglio, cosa si intende per “carne artificiale”, oppure “carne sintetica” o ancora “carne coltivata”. Cominciamo col dire che l’espressione più corretta è proprio quest’ultima, poiché trattasi di un prodotto che proviene da cellule staminali prelevate da animali e “coltivate” in laboratorio, mediante un bioreattore, che ha lo scopo di monitorare la temperatura, mantenere in vita le cellule e fornire loro i nutrienti. Successivamente, si lavorano le fibre muscolari, fino a ottenere un prodotto simile alla carne macinata, che poi viene compattata. Il tutto senza usare antibiotici.
Alla luce di quanto appena descritto, la definizione “carne sintetica” appare quanto meno impropria, proprio perché non si tratta di un prodotto di sintesi, realizzato al di fuori di un organismo vivente.
Ma quali motivazioni sottendono la scelta di realizzare carne coltivata? In primo luogo, le colture di cellule hanno un impatto minore sul consumo del suolo, determinando, al contempo, un minore inquinamento. L’allevamento di animali da macello è responsabile del 14,5% di tutte le emissioni di gas a effetto serra; utilizza circa il 20% dei terreni per i pascoli e il 40% dei terreni coltivati per produrre mangimi. Inoltre, secondo alcune stime, da una mucca sarebbe possibile ricavare 175 milioni di hamburger, contro il mezzo milione che si ottiene con la macellazione.
Dal punto di vista nutrizionale, secondo gli esperti, non si evidenziano aspetti negativi. Coloro che non condividono l’entusiasmo per l’eventuale produzione di carne coltivata sostengono che lo smaltimento del siero animale, usato per la crescita delle cellule, sarebbe comunque causa di inquinamento, inoltre, se i terreni utilizzati per il pascolo dovessero essere convertiti in ambienti per coltivazioni intensive, si avrebbe un impatto ancora peggiore di quello attuale, a causa dell’ingente quantità di carbonio rilasciato nell’atmosfera.
Alcuni dubbi sorgono circa la sicurezza alimentare. L’Unione Europea considera la carne coltivata un “novel food”, in quanto tale sarebbe sottoposta a severi controlli prima di essere destinata al consumo. Va anche ricordato che le cellule crescono in un ambiente controllato, che riduce il rischio di contrarre malattie e non richiede l’uso di antibiotici; inoltre, la possibilità di confezionare l’alimento in un unico luogo evita contaminazioni esterne. Ne consegue che, a livello teorico, la carne coltivata non mette a rischio la salute umana.
Qualunque possa essere l’opinione personale, un fatto certo è che il modello attuale di produzione alimentare non è più sostenibile, pertanto è indispensabile individuare tutte le possibili soluzioni per tutelare l’ambiente. A questo va aggiunta una riflessione riguardante l’isolamento nel campo della ricerca, qualora il nostro Paese dovesse tramutare in legge l’attuale disegno: le aziende che stanno investendo in questo settore ne avrebbero un danno economico e l’innovazione subirebbe una seria battuta d’arresto.