Sara Acquaviva, giovane componente del direttivo Anpi si confronta con il “25 aprile”
A causa della quarantena, quello del 2020 è il primo 25 aprile, dopo 75 anni, che non sarà festeggiato e celebrato con pubbliche manifestazioni. Qualcuno gongola, e auspica che sia arrivata la fine del 25 aprile, festa “divisiva”. Lei che cosa pensa? Come si celebrerà la Liberazione?
Io penso che in questo caso si possa dare una connotazione positiva all’aggettivo “divisivo” in quanto divide la parte sana della società che si riconosce in valori democratici dalla parte antisociale che è nostalgica di chi ha promulgato le leggi razziali, di chi ha portato guerra e devastazione nel nostro Paese e che quindi va debellata. Il 25 aprile è una festa “divisiva” in quanto “partigiana”, perchè è la festa di chi si schiera dalla parte della democrazia, dell’uguaglianza, della giustizia sociale.
Il 25 aprile verrà festeggiato anche quest’anno, come già sappiamo, sia con celebrazioni istituzionali, sia con attività virtuali. La festa della Liberazione, riconosciuta tale dal 1946, è una conquista importantissima e, a mio parere, non finirà mai fino a quando ci ricorderemo di fuoriuscire dalla ritualità delle date e praticheremo l’antifascismo quotidianamente.
Facciamo il punto sulla situazione della conoscenza storica, dopo tre quarti di secolo. Gli italiani, e soprattutto i giovani, che cosa sanno della Resistenza, dell’antifascismo? È necessario approfondire la storia di quel momento costitutivo, e in quale direzione?
Se i giovani oggi sono poco consapevoli è anche perché c’è stato un progetto mirato, di ordine neoliberista, che ha puntato a sfaldare i corpi intermedi, le sezioni di partito, i dopolavoro e, che per mezzo di politiche di tagli all’istruzione, condite da azioni di legittimazione culturale (“con la cultura non si mangia” ) hanno prodotto scuole e università come palestre di cittadini sfruttati, soli, competitivi, deboli psicologicamente e socialmente. Lo stesso attacco l’ha subito il mondo del lavoro. Oggi le città e i luoghi della formazione non sono spazi di crescita di cittadini liberi, è in corso una crisi valoriale legata anche alla precarietà dell’esistenza in questo momento storico. Alle trasformazioni sociali degli ultimi quarant’ anni si sono susseguite delle trasformazioni politiche e partitiche di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze. E’ importante riconoscere che le destre, dalle più moderate a quelle più radicali, sono state e continuano ad essere d’ostacolo all’alfabetizzazione politica e hanno fatto investimenti lungimiranti nelle aree più a rischio povertà e devianza sociale, spesso intrecciandosi con le organizzazioni mafiose, presso quelle stesse aree dove un tempo la sinistra organizzava gli operai, comunisti e antifascisti spinti dal bisogno di riscatto. Il mio non vuole essere un monito nostalgico a ciò che oggi non può, purtroppo, esistere nelle stesse forme e negli stessi modi. Tuttavia, credo che sia importantissimo far incontrare il sindacato, le organizzazioni studentesche, che ancora reggono nonostante gli attacchi di cui sopra, coadiuvati dal contributo dell’ANPI per mettere in campo un contro-attacco culturale, sociale, mutualistico e politico per far sì che tutti e tutte sviluppino il senso critico che è insito in ognuno di noi, e maturino la consapevolezza che l’antifascismo non è solo il ricordo o la gratitudine verso chi ha liberato, 75 anni fa, il Paese. L’antifascismo è reciprocità, è condivisione e comunità, è radicamento e conoscenza, vuol dire emancipazione e libertà. Credo sia prioritario fare rete con tutte le organizzazioni antifasciste per creare spazi sicuri e accoglienti, comunità e presidi di democrazia.
L’antifascismo è attuale? Oltre a richiamare il sacrosanto dovere della memoria pubblica, che cosa rappresenta il 25 aprile per la coscienza di donne e uomini impegnati nella quotidianità, nel mondo del lavoro, della scuola, nella vita sociale?
L’antifascismo è attuale perchè i suoi valori sono intramontabili, non sono legati ad un’epoca storica e per me è una scelta quotidiana di memoria e di impegno. Una scelta che io confermo in ogni istante della mia vita, essendogli leale e coerente, che sia a scuola, o a lavoro, o in famiglia o tra amici. Essere antifascisti vuol dire scegliere la democrazia e l’inclusione sociale, vuol dire rifiutare la prevaricazione e la sopraffazione verso chi è diverso, o verso le minoranze, la supremazia razziale e dell’Uomo forte al comando, vuol dire rifiutare l’ideologia fascista e patriarcale che mortifica l’esistenza delle donne perché non riconosce la parità di genere e opprime l’identità e i comportamenti di chi non è eterosessuale o cis-gender. Essere antifascisti significa non rassegnarsi alle morti ingiuste, non voltare la testa di fronte a chi può avere bisogno di noi.
La Costituzione italiana è nata dalla Resistenza. È una frase retorica, oppure ci indica il valore di diritti non sempre rispettati? La Costituzione, in definitiva, è ancora valida?
La Costituzione è in vigore e, pertanto, sul piano formale non si può non rispettarla, quindi non si possono creare leggi, decreti, che siano in contrasto con essa, salvo alcune eccezioni scritte nello stesso articolato. La Repubblica Italiana, nata dalla Resistenza, si è definita e sviluppata in totale contrapposizione al fascismo. La nostra Costituzione rappresenta, perciò, per i valori che proclama e per gli ordinamenti che disegna, l’antitesi più netta al fascismo. All’art. 3 indica le discriminazioni da rifiutare e respingere, un monito di cui vi era e vi è tuttora bisogno. Sta a noi cittadini far sì che non resti solo retorica, ma che i diritti lì sanciti (al lavoro, alla parità dei sessi, alla salute, allo studio, alla partecipazione ecc) e i principi che fanno da scheletro del nostro ordinamento, non siano solo forma ma siano anche sostanza. Immaginiamoci come sarebbe la nostra vita senza queste garanzie. Bisogna restare vigili affinchè le Istituzioni italiane, su tutti i livelli e ordini, non tradiscano mai questo dettato.