DI Ilenia di Summa
A 30 anni di distanza dalla legge Ronchey (4/1993), che secondo gli addetti ai lavori ha segnato un deciso peggioramento delle condizioni di lavoro nel settore dei beni culturali, l’associazione “Mi Riconosci”, tra novembre 2022 e gennaio 2023, ha proposto ai lavoratori un questionario dal titolo “Lavorare nel settore culturale: contratti, condizioni, prospettive”. Le risposte fornite dai 2526 partecipanti hanno evidenziato una situazione tutt’altro che rosea: salari molto bassi, precariato e, nel 40% circa di casi, anche mobbing.
Nello specifico, i lavoratori del settore, in maggioranza donne, sono per lo più giovani (il 63,57% degli intervistati ha tra i 26 e i 39 anni), con un livello di istruzione alto: tranne un 10% circa di lavoratori, in possesso del diploma, gli altri sono in possesso di almeno una laurea, molti di un master o di un dottorato. Dal questionario emerge che: il 21,88% lavora nella pubblica amministrazione, mentre il 75,47% presso privati. Piuttosto elevata la quota di quanti hanno più di una occupazione: un terzo del campione tra i dipendenti e il 60,43% degli autonomi ha più di due collaborazioni. Il contratto di settore, risulta applicato solo nel 6% dei casi; le tipologie contrattuali più diffuse tra i lavoratori dipendenti sono il “Multiservizi”, seguito da “Commercio”, “PA”, “Federculture”.
Passando a esaminare i dati, emerge che: circa il 70% dei lavoratori dipendenti percepisce una retribuzione oraria al di sotto di 8 euro; tra gli autonomi, la percentuale scende al 40%. Non è tutto: circa il 14% guadagna tra i 4 e i 6 euro l’ora, mentre il 5,7% ha una paga oraria netta addirittura al di sotto dei 4 euro. Ne consegue che, oltre alla ridotta paga oraria netta, è molto basso anche il reddito annuale: il 50,37% guadagna meno di 10.000 euro all’anno (55,88% tra gli autonomi) e il 72,28% guadagna meno di 15.000 euro all’anno. Solo il 13,10% del campione ritiene che la retribuzione sia sufficiente “per vivere autonomamente”.
“I risultati del questionario fotografano una situazione emergenziale che necessita di un tempestivo cambio di rotta” spiega Federica Pasini, tra le curatrici dell’inchiesta: “L’applicazione del contratto di settore continua ad essere una condizione molto rara, il sotto-inquadramento dei lavoratori quasi la regola. La libera professione nella maggior parte dei casi non è una scelta ma un’imposizione, anche nel caso in cui il lavoro abbia tutte le caratteristiche di quello dipendente”.
Fra gli intervistati, c’è chi lamenta di non poter bere durante l’orario di servizio; chi denuncia la mancanza di scatti di anzianità dopo ben 17 anni di lavoro; chi dichiara di non avere ferie pagate; chi non ha rimborsi per le trasferte e chi lavora full-time, a fronte di un contratto part-time.
“Il lavoro in cultura deve essere un lavoro qualificato, e per essere qualificato deve essere giustamente retribuito,- ha affermato Umberto Croppi, Direttore Generale della Fondazione Valore Italia- deve cioè dare quei gradi di tranquillità e di gratificazione che consentano al lavoratore di svolgere un ruolo così delicato di natura sociale. La nostra prospettiva è quella di mettere mano a uno statuto dei lavoratori della cultura, che porti ad un contratto unico, sia pure molto articolato”.