Il parroco del Rione Sanità, quartiere “pericoloso” di Napoli, sta dando vita a una serie di imprese sociali, che valorizzano le capacità del ragazzi e danno loro una speranza di futuro. Cultura, teatro, turismo, musica, beni culturali: luoghi e progetti per un’alternativa di vita
C’è un mondo in cui il pane quotidiano nasce e si divide nel terreno della violenza. C’è un mondo, in tanti microcosmi che sono le nostre città, che assomiglia tanto a una giungla, nella quale si viene educati a strappare la vita con le unghie e coi denti. E ogni boccone ha un sapore di violenza. Sono i quartieri “difficili” delle nostre città, nelle quali la legalità è solo uno dei mondi possibili: generalmente il mondo degli altri. Perché, in quartieri come la Città vecchia o le case bianche di Paolo VI a Taranto, il quartiere San Paolo di Bari, lo Zen o la Vucciria di Palermo o i quartieri spagnoli, la Sanità o Scampia di Napoli, la quotidianità è improntata all’arte di arrangiarsi o alla violenza pura. In cui la miseria, la mancanza di alternative, l’inconsistenza delle famiglie, divise spesso tra diversi istituti di pena, rendono davvero improbabile la normalità.
Anche perché quella che noi consideriamo normalità deve essere impiantata ex novo da qualcuno che, credendoci fortemente, la faccia riscoprire come valore. E allora può accadere che le cose, poco a poco, comincino a cambiare. Che almeno, accanto a coloro che militano nelle file della delinquenza comune o organizzata, come propria condizione di vita, si affermino persone che sviluppano altre convinzioni convincendosi che si può davvero vivere in modo diverso.
Oggi raccontiamo la storia, fortunatamente non unica, di un innesto positivo, che sta portando una ventata di aria nuova in un quartiere estremo come il Sanità di Napoli. È quello che sta tentando di fare con successo don Antonio Loffredo, che del rione Sanità è parroco, che da anni insegue il progetto di costruzione di un futuro fondato sull’impresa sociale, combattendo, con le armi della cultura e del lavoro, il disagio, l’abbandono e la criminalità.
Nascere al rione Sanità significa essere “figli di un dio minore”?
Non possiamo dire che non sia così. Chi nasce in quei luoghi parte, indubbiamente, con una difficoltà di fondo che però può trasformarsi in una marcia in più. Proprio quest’anno stiamo festeggiano alla Sanità i cinquant’anni dalla morte di Totò, lui diceva che la gente del suo quartiere, come la gente dei quartieri degradati delle nostre città, fa la guerra con la vita, e proprio da questa necessità di reagire può nascere qualcosa in più. Anche lui è diventato grande partendo, come i ragazzi della Sanità, da uno svantaggio forte, che gli ha fornito una marcia in più. Per dare speranza e forza non basta rimarcare i problemi, ma occorre agire sulla voglia di riscatto.
Essere sacerdote in quei luoghi richiede una doppia marcia in più, perché alle normali difficoltà se ne aggiungono altre. O no?
Essere sacerdote significa stare con quel popolo e viverci in maniera quasi coniugale: farsene carico in maniera forte, nella testa, nel cuore, nel corpo. Esiste un’unica categoria di “servi inutili” che a un certo punto, rapportandosi con un pezzo di popolo di Dio, devono mettere a disposizione tutto quello che hanno imparato. O tengono il cuore con il popolo o niente ha senso.
La vita del quartiere, però, è più dura che altrove, comporta anche una certa razione di violenza…
Questo è innegabile. Com’è innegabile che alle radici della violenza ci sia storicamente la povertà. Per me sacerdote… questa povertà può aiutare a restare vigile. A me lo impone. Voglio dire: se mi venisse la tentazione di “smarrire la direzione” è il quartiere che mi contiene perché non mi permette di fare certi errori.
Ma hai mai sentito su di te l’attenzione malata di chi vedeva in te un pericolo percorso virtuoso?
No, questo lo notano solo i tuoi colleghi giornalisti. Scindiamo l’atteggiamento di servizio e quello di denuncia. Quando tu metti in moto qualche cosa che è “per qualcuno” e non “contro qualcuno” difficilmente hai le persone contro. Se io faccio l‘orchestra sinfonica dei bambini, il teatro dei bambini, se apro le chiese, che diventano luoghi operativi, che diventano beni culturali, accesso alle catacombe che attirano il pubblico, la gente ti segue perché vede che tu fai qualcosa “per”. Quando un parroco si mette a costruire e non a condannare le persone, difficilmente ha una difficoltà del genere. Dall’altro punto di vista mi dirai: c’è una modalità anche di denuncia che ti porta a esporti. Ebbene, anche io uso le mie “armi”: la cultura, infatti, è un’arma, la più efficace, ma la povera gente non lo sa. In me vedono la propositività, la preoccupazione per la crescita del capitale umano, dei bambini. Certo, persone che hanno i colletti bianchi e che stanno nei sistemi delinquenziali, loro avvertono questo, ma non lo avvertono le persone che mi stanno accanto. E che vogliono cogliere opportunità positive. Gli altri non li guardo.
Ma i ragazzi del quartiere hanno difficoltà a mostrare di lavorare con te?
Un libro recente di Ermanno Rea sul nostro quartiere racconta la storia di due ragazzi che fanno due scelte completamente diverse, che però mantengono il legame che si ha quando si cresce in questi vicoli, qualunque strada tu intraprenda. Il discorso è molto complesso, io ho imparato a capirlo proprio dai ragazzi: ci sono coetanei che fanno scelte diverse, ma loro non si sentono né in contrapposizione né minacciati, perché rimane quel sentimento affettivo che si è avuti crescendo negli stessi vicoli. Questo può anche essere una forza: come uno rispetta l’altro, l’altro riesce a capire il primo che magari adesso fa la guida e porta i turisti in giro per il quartiere. Forse si interroga sulla sua scelta. Per gli altri, noi parliamo di cultura, di arte, di lingua, di musica, cose che non vanno in competizione col mondo violento che pure è intorno.
È stato proposto, recentemente, un confronto tra Sanità e Città vecchia di Taranto, dove pure restano delle zone off limit, in cui non tutti possono addentrarsi. Non è lo stesso anche da voi?
Questo capita ancora, certo. Se uno prende un taxi magari viene sconsigliato di addentrarsi in determinate zone. Ma lavoriamo in due direzioni perché dai posti off limit possa nascere un grido di speranza. Da un lato curiamo “le pietre” per poterne ricava sostentamento e indotto economico che duri, ma ciò non varrebbe niente se non ci fosse la prima attenzione ai cuori. I restauri ai palazzi vanno fatti contemporaneamente ai restauri ai cuori. Restaurare i palazzi mentre gli uomini non sono ancora pronti… non serve a niente.
Silvano Trevisani