Agricoltura, la Chiesa pugliese: giovani tornate alla terra, vi sfamerà
Silvano Trevisani | 26 April 2017

Si chiama Progetto Policoro ed è un protocollo d’intesa fra 3 vescovi e Confagricoltura. Obiettivo: offrire lavoro e recuperare le terre incolte, anche favorendo la cooperazione e la nascita di piccole aziende. Ne parliamo con il coordinatore del progetto, don Antonio Panico, che lancia l’allarme: i ragazzi stanno perdendo le speranze

La Chiesa impegnata direttamente a promuovere l’agricoltura? Può suonare sconcertante, ai nostri tempi, ma è così. Niente a che fare coi secoli passati, quando parrocchie, conventi e congreghe ricevevano terreni e masserie, in eredità o a scomputo di prestiti, avendo alle dipendenze fattori e braccianti. Pratica di cui resta solo qualche residuo.

No, oggi la Chiesa non ha più terreni da far coltivare, ma punta ugualmente all’agricoltura, con un doppio obiettivo, diverso e forse più ambizioso: rilanciarla come nuovo orizzonte di lavoro per i giovani e per valorizzare i terreni incolti, sempre più numerosi. E lo fa scendendo in campo attraverso progetti concreti che incrociano la disponibilità di giovani in cerca di occupazione ad avviare imprese agricole, caratterizzate da innovazione e creatività, con la professionalità di chi questo lo fa professionalmente.

Ecco come nasce il Protocollo d’intesa siglato a Taranto da tre vescovi pugliesi: l’arcivescovo metropolita di Taranto Filippo Santoro, il vescovo di Castellaneta Claudio Maniago, il vescovo di Oria Vincenzo Pisanello e dal presidente di Confagricoltura di Taranto, Luca Lazzàro. A ideare e concretizzare l’accordo è stato don Antonio Panico, che è il direttore del polo universitario che la Lumsa, la Libera Università Maria SS. Assunta, gestisce da molti anni a Taranto, ma in un’altra sua veste, quella di coordinatore regionale del Progetto Policoro, iniziativa che, com’è noto, è stata promossa dalla Conferenza episcopale italiana, oggi attiva in 13 regioni, con l’obiettivo di aiutare i giovani del Sud a trovare un’occupazione o a migliorare la propria condizione lavorativa, anche attraverso la creazione di cooperative o di piccole imprese. L’incubatore di imprenditorialità sociale, che porta il nome della cittadina lucana di Policoro, nella quale prese corpo oltre vent’anni fa, ha già portato importanti frutti imprenditoriali e occupazionali ed è un punto di riferimento per l’impegno della Chiesa nella promozione del lavoro, nell’ambito della sua dottrina sociale.

Ma questa volta, la Chiesa pugliese ha voluto creare un coordinamento capace di convogliare la voglia di lavoro con la disponibilità di una grande organizzazione dell’imprenditoria agricola, che si impegna in qualche modo a incentivare, incoraggiando anche i riottosi, mettendo a disposizione gratuitamente know how e assistenza, per favorire capaciti di giovani scoraggiati. Sfida molto difficile, proprio perché l’agricoltura non ha certo un grande potere attrattivo, anche se una riscoperta è certamente in atto. A don Antonio abbiamo rivolto alcune domande.

La Chiesa che si occupa di lavoro sta cambiando le sue strategie o supplisce le altre istituzioni?

Potrei dire: entrambe le cose. Mettere al centro dell’iniziativa della Chiesa il lavoro, e in particolare l’occupazione giovanile, è una scelta pastorale, segno di attenzione ai tempi. Purtroppo, sembra proprio che il problema non sia colto nella sua gravità dalle istituzioni “politiche”. Le varie esperienze e letture della realtà, compresi alcuni studi sociologici che sono stati illustrati in un recente convegno che le Chiese dei Sud hanno tenuto a Napoli, dimostrano invece la dimensione drammatica che sta assumendo: la mancanza di prospettivi rosicchia, giorno dopo giorno, ogni residuo di speranza per gran parte delle giovani generazioni. La Chiesa, che vive drammaticamente i problemi del territorio, non può accettare che la rassegnazione prenda il sopravvento.

Ne viene fuori l’idea di una Chiesa aperta alla modernità

Proprio così. L’idea che perseguiamo è quella di una Chiesa che non si ferma allo status quo, all’idea del lavoro “tradizionale” che non ha ambiti di sviluppo, ma punta all’innovazione, al progresso anche tecnologico. Un segnale chiaro per tutta la società, che può arroccarsi dietro una concezione antica del lavoro (come quello legato a un’industria ormai matura) che non ci porta da nessun parte.

Ecco: la modernità la estendete al concetto stesso di lavoro, che interpretate in senso di autoimprenditorialità, non certo del “posto fisso”

È proprio così che il Progetto Policoro, in tante realtà, ha sortito effetti positivi, consentendo la creazione di migliaia di posti di lavoro. Privilegiando l’innovazione, l’agricoltura di eccellenza, l’artigianato, i servizi alla persona, il turismo religioso e la valorizzazione e la tutela dei beni culturali.

Idee che cambiano anche in relazione alle potenzialità del territorio

Si, sul fronte delle nuove tecnologie, ad esempio, sono in vantaggio aree che possono avvalersi del contributo dell’università come Bari e la Campania, ma aree rurali attorno a Taranto possono vantare altri settori specifici di sviluppo, ivi compresa l’agricoltura di qualità.

Su questo fronte si pone, quindi, il Protocollo d’intesa, siglato proprio a Taranto?

Sì. Chiesa e agricoltura si affiancano per fondere insieme il mondo imprenditoriale che sa guardare oltre il proprio orizzonte e tre diocesi impegnate, in profondità, nel promuovere una nuova cultura del lavoro ispirata ai valori umani e cristiani della responsabilità personale, della solidarietà e della cooperazione. È evidente che questo tipo di proposta non è certo diretto a chi ha vissuto finora in un condominio in un centro cittadino. Ma ai giovani che provengono da famiglie che vivevano di agricoltura o in qualche modo la praticavano o la praticano ancora.
Diciamo insomma che la figura del metal-mezzadro, che univa la derivazione agricola al lavoro del metalmeccanico, deve guardare un po’ indietro e rinunciare alle prospettive industriali, ormai in declino.
Di sicuro, la grande industria non sarà il nostro futuro, mentre la nuova agricoltura può avere grandi prospettive, come dimostrano le produzioni innovative o il trend in crescita dei vini pugliesi.

Allora, cerchiamo di capire quali finalità pratiche persegue questa intesa.

Il protocollo d’intesa rappresenterà il punto di contatto per sviluppare sinergie operative, derivanti dalla fusione dei propri oggetti sociali e delle proprie mission operative, contribuendo a sviluppare e creare condizioni di vantaggio per soci, utenti e loro territori, in modo da “fornire ai propri referenti, interlocutori, soci ed iscritti, – com’è scritto nel testo – esaurienti informazioni e delucidazioni sulle attività e sui servizi forniti dall’altra”. Saranno importanti sia l’azione divulgativa delle rispettive attività in ogni sede ed occasione utile, quanto il “reciproco supporto nella organizzazione e gestione delle iniziative, anche promozionali, che verranno intraprese”. Confagricoltura si mette a disposizione dei giovani che volessero avviare un’impresa, prestando loro gratuitamente il know how necessario. Un’occasione importante, anche in vista delle nuove norme che favoriranno l’utilizzo delle terre incolte e dell’imprenditorialità giovanile in agricoltura.

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