Dopo i primi soccorsi e l’arrivo nelle città italiane, fuggono o semplicemente scompaiono. Non sempre, però. La storia di chi a Palermo aiuta molti di loro a costruirsi un futuro
In arabo harraga significa “colui che brucia”. In Nord Africa questa espressione indica chi rischia tutto pur di migrare. I “ragazzi harraga” sono chiamati così perché “bruciano” le frontiere. Il progetto “Ragazzi Harraga”, coordinato dall’associazione CIAI, coinvolge 400 ragazzi migranti non accompagnati arrivati a Palermo dopo essere sbarcati a Lampedusa o sulle coste siciliane.
La presenza a Palermo di un’alta percentuale dei minori migranti soli giunti in Italia negli ultimi anni ha imposto alla città una sfida importante, che potrebbe trasformarsi in una eccezionale opportunità di crescita e arricchimento collettivo. Il progetto Ragazzi Harraga si inserisce in questo contesto, accompagnando gli adolescenti all’età adulta e offrendo loro nuove opportunità per integrarsi nella società: laboratori interculturali, tirocini formativi, orientamento per la vita quotidiana e opportunità di lavoro, una casa al compimento dei 18 anni.
Secondo Stephane Jaquemet, delegato dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati per il Sud Europa, sono circa 65 milioni le persone costrette a lasciare la propria casa e circa la metà degli sfollati e richiedenti asilo nel mondo sono minori. Dal 1 gennaio al 25 ottobre 2017 in Italia sono sbarcati 14.579 minori soli, per un totale di 18.491 minori censiti dal sistema di accoglienza italiano. Rappresentano 13% di tutti i migranti giunti via mare.
Secondo una analisi della Fondazione ISMU, basata su dati del Ministero dell’Interno e dell’UNHCR, la componente di giovani soli è sempre più rilevante rispetto a tutti i minori che sbarcano nel nostro Paese. Nel 2014 i minori non accompagnati costituivano il 49% nel 2015 erano il 75%, nel 2016 costituivano il 92% degli oltre 28mila minori sbarcati in Italia. Nel periodo compreso tra gennaio e ottobre 2017 erano il 93%. Provenivano quasi tutti dal continente africano, in particolare da Guinea, Costa d’Avorio e Gambia.
“Ragazzi Harraga” risponde a un tema sempre più cruciale legato alla gestione dei migranti minori non accompagnati che, dopo i primi soccorsi e l’arrivo nelle città italiane, fuggono o semplicemente scompaiono dai centri di prima o seconda accoglienza. Al 30 settembre 2017, erano 5.433 i minori – per lo più di giovani somali, eritrei, egiziani, afghani – irreperibili nelle strutture di accoglienza censite dal Ministero del Lavoro. Infatti l’Italia è spesso considerata un mero luogo di transito da molti di questi giovani che si allontanano volontariamente dalle strutture di accoglienza per raggiungere parenti e reti amicali nei paesi del nord Europa.
Chi invece resta nei centri di prima e seconda accoglienza, a volte rimane abbandonato a se stesso, non ha stimoli nè opportunità formative o ricreative. Questa situazione rappresenta un potenziale pericolo per gli stessi giovani che rischiano di cadere in una rete di violenza e sfruttamento. Allo stesso tempo la società italiana non percepisce il potenziale positivo derivante dall’integrazione dei ragazzi nel tessuto sociale metropolitano.
Prendiamo ad esempio i primi tirocini del progetto previsti da “Ragazzi Harraga” e offerti da Gesnav, un cantiere navale che si occupa di progettazione e manutenzione delle navi. Giuseppe Fasola, uno dei titolari che per i tirocini si interfaccia con SEND, un partner di progetto, è soddisfatto di questa esperienza: “Sono ragazzi molto in gamba quelli che ci vengono proposti. Quando sono entrati in cantiere due ragazzi gambiani ero forse io la persona più preoccupata perché, essendo entrambi musulmani osservanti, devono fermarsi durante la giornata per le preghiere, osservano il Ramadan. Non ero in grado di prevedere le reazioni degli altri operai – continua Fasola – Invece sono rimasto posivamente impressionato: ho scoperto che gli operai più adulti già conoscevano le loro storie, si erano aperti al dialogo con loro ed erano contenti di condividere punti di vista diversi. A noi fa piacere avere in azienda operai di diversa estrazione sociale, che possono mescolarsi anche agli stagisti in arrivo dalle università. Sono esperienze che servono a tutti noi per capire realtà diverse e aprirci al mondo”.
Il progetto mette in rete varie realtà sociali impegnate nell’accoglienza e integrazione dei giovani migranti (Assessorato alla Cittadinanza Sociale del Comune di Palermo, Associazione Santa Chiara, CESIE, Cooperativa Sociale Libera…Mente, CPIA Palermo 1, Libera Palermo, Nottedoro e Send).
Non mira sostituire bensì ad affiancare gli interventi di emergenza rivolti a minori migranti, a migliorare la cooperazione della rete di soggetti pubblici e privati attivi nel sistema di protezione per minori. I “ragazzi harraga” che escono da questo percorso sono in grado di gestire la propria vita in autonomia nella società italiana.
Alessandra Sciurba, referente di CIAI per il progetto Ragazzi Harraga a Palermo, è ricercatrice universitaria sui temi dei diritti umani e delle migrazioni e da sempre si occupa di politiche migratorie. Quando parla dei primi giovani che ha incontrato in questo progetto ricorda “l’amarezza provata nel vedere ragazzi che avevano affrontato il deserto a piedi e il mare su imbarcazioni di fortuna, rischiando la vita in ogni istante, rischiando di crollare emotivamente e psicologicamente di fronte alla disorganizzazione
dell’accoglienza in Italia”. In particolare è stata colpita dal vedere “quei ragazzini che avevano attraversato due continenti da soli, senza perdersi d’animo, dopo avere cresciuto fratelli e sorelle più piccole in paesi poverissimi in situazioni di insicurezza, arrendersi di fronte a un trasferimento in un centro di accoglienza lontano dalla città. Sapevano bene cosa avrebbe significato: fine delle amicizie e di quei legami sociali e affettivi, costruiti con fatica dopo il loro arrivo”.
Storie di “ragazzi harraga”
Amir ha 15 anni e viene dal Gambia. Vive in Italia da quasi un anno e conosce bene l’italiano, ha ottenuto il diploma di licenza media e il permesso di soggiorno. Come per tanti ragazzini della sua età, la sua grande passione è il calcio e il suo sogno nel cassetto è fare il calciatore. Pur avendo una lesione al ginocchio, continua a giocare ogni settimana nell’oratorio Santa Chiara e intanto aspetta che lo chiamino dall’ospedale per sottoporsi a una operazione. Prima di arrivare in Italia ha sperimentato il carcere in Libia. Non parla volentieri di quel periodo della sua vita, ma lascia intuire che laggiù ha vissuto e visto cose terribili.
“Quando ero in Gambia studiavo per diventare insegnante, ma adesso ho cambiato idea”, racconta Amir che desidera essere autonomo il prima possibile e diventare meccanico, perciò sta frequentando alcuni laboratori e percorsi di avviamento al lavoro previsti dal progetto Ragazzi Harraga. “Il lavoro è fondamentale per qualsiasi essere umano, ovunque: è un diritto di tutti avere un futuro, farsi una famiglia, avere da mangiare e un’auto per viaggiare”.
Anche per Kumba, che sta terminando il tirocinio lavoro, potrebbe delinearsi un futuro da meccanico. Originario della Guinea Bissau, è arrivato a Palermo dopo un viaggio durato quasi un anno di cui non ama ricordare alcun dettaglio. Appena giunto in Italia ha perso la mamma e il fratello, ritrovandosi completamente solo. Ora ha quasi 18 anni. La mattina va al lavoro, il pomeriggio frequenta un corso di italiano e il percorso formativo per conseguire il diploma di terza media al CPIA. “Non so con precisione come sia arrivato qui in Italia – dice il suo datore di lavoro, titolare di un bar a Palermo – Quando provo a chiedergli qualcosa della sua vita, del suo passato, non riesce neanche a deglutire, cambia discorso… Posso dire che Kumba è un ragazzo speciale, umile, grande lavoratore, ha gli occhi buoni, se penso a quello che deve aver passato….”. Kumba è musulmano osservante e nel periodo del Ramadan, quando durante la giornata non mangia e né beve, il suo datore di lavoro è preoccupato che sia indebolito: “Rispetto la sua religione – dice – così gli preparo sempre un panino con il tonno, so che può mangiare il pesce”.
La cartella sociale: il risvolto digitale dell’accoglienza
Una novità del progetto “Ragazzi Harraga” consiste nella messa a punto della “cartella sociale” che accorperà per la prima volta tutti i dati e le informazioni anagrafiche, sanitarie, amministrative, istruzione e formazione, esperienze lavorative, competenze e progetti dei minori che sbarcano in Sicilia (il 40% del totale nazionale) e che vivono a Palermo (circa 700).
Sarà pronta a pronta a marzo 2018 e rappresenta la prima iniziativa di questo genere in Italia. Ideata prima della Legge 47/2017 dedicata ai minori stranieri non accompagnati, nota come “legge Zampa”, la cartella sociale potrebbe essere presa come modello di partenza ed essere replicata in altri Comuni italiani.
Il CIAI sta sviluppando la Cartella Sociale con l’Assessorato alla cittadinanza sociale del Comune di Palermo che la gestirà (la piattaforma è direttamente collocata all’interno del suo portale IntraCom), e in collaborazione con il Garante Metropolitano per l’infanzia e l’adolescenza, i centri Sprar, i Cpa, la ASL e tutti gli altri attori coinvolti nella vita di questi ragazzi. La condivisione delle informazioni in un’unica cartella è fondamentale per creare coerenza nei servizi offerti ai ragazzi e offrire una visione di insieme dei loro percorsi una volta sbarcati in Italia. Finora le istituzioni italiane che si relaziona a loro offrendo un percorso o servizio non sanno di quali altri servizi i ragazzi abbiano già usufruito.
“Il primo vantaggio è avere in un unico luogo informazioni corrette, complete e coerenti e quindi anche una tracciabilità dei percorsi di questi ragazzi”, spiega Alessandra Sciurba. Una volta a regime, l’uso della Cartella Sociale ridurrà la frammentarietà e la ripetitività degli interventi nei confronti dei minori, facilitando il coordinamento all’interno di un progetto complessivo, a prescindere, ad esempio, dai trasferimenti tra un centro e l’altro cui spesso i minori sono sottoposti.
Potranno accedervi, a diversi livelli e previo accreditamento, anche tutti gli altri attori coinvolti nella filiera, compilando o visualizzando le parti di propria competenza, nel rispetto della privacy dei minori grazie a una precisa selezione delle informazioni da inserire e a un sistema di accessi differenziati alle varie sezioni.
Proprio per evitare che la cartella sociale venga percepita come strumento controllo o “schedatura” dei minori migranti non accompagnati, il CIAI l’ha progettata partendo da un confronto tra i rappresentanti di tutti gli attori coinvolti nel suo utilizzo e soprattutto con una validazione costante da parte di un gruppo di minori e di neo-maggiorenni che hanno partecipato attivamente alla sua definizione. A ulteriore conferma del fatto che la Cartella Sociale è tarata sulle esigenze dei ragazzi, questi ultimi potranno visualizzare le informazioni che li riguardano in ogni momento e avere un quadro completo del proprio percorso in Italia che comprenda certificati e documenti di natura amministrativa.