Fino a qualche anno fa la metropoli si distingueva dal piccolo centro di provincia per il senso di anonimato e di alienazione, la superficialità delle relazioni, le difficoltà di coltivare le amicizie. Le cause? Indifferenza nei confronti dei vicini di casa, ritmi frenetici della vita quotidiana, tempi di spostamento casa-lavoro sempre più lunghi, scelta di vivere i propri momenti di socialità in luoghi diversi dal quartiere o dal condominio. Alcune ricerche confermano la tendenza appena descritta: il condominio o il quartiere sono meri luoghi di transito, non associati ad alcuna forma di interazione che vada al di là di un “buongiorno”. E spesso neanche quello.
Secondo uno studio condotto da Nescafè nel 2016 con metodologia WOA (Web Opinion Analysis) su un campione di circa 1800 italiani, uomini e donne di età compresa tra i 18 e i 65 anni, nei condomìni italiani l’asocialità è un atteggiamento molto diffuso: il 61% del campione analizzato non parla con i vicini di casa e ammette di non aver alcuna voglia di approfondire i rapporti con i propri dirimpettai. Lo studio, che si è basato su un monitoraggio online dei principali social network, blog e forum, individua le cause dell’asocialità nella frenesia della routine quotidiana (73%), nell’aumentata percezione della presenza di micro-criminalità e terrorismo veicolata dai media (39%), nel poco tempo a disposizione per socializzare (68%) che impedisce di approfondire i rapporti non direttamente legati al nucleo familiare, alle amicizie più strette o all’ambito lavorativo.
“Un tempo il vicinato era costruito intorno al cortile da condividere – commenta Giampaolo Nuvolati, direttore del dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell'Università degli studi di Milano Bicocca - Ora i caseggiati sono vuoti e nei condomìni c'è un turnover continuo di famiglie, coppie o single che passano da un appartamento all'altro. Il motivo per cui ci si sposta con frequenza è dovuto al fatto che si vive di più in affitto, si cambia città per lavoro e c'è meno disponibilità di tempo da dedicare agli altri, però non manca il desiderio di socialità”.
Il fenomeno è più marcato nelle grandi città del Nord, dove i ritmi lavorativi più frenetici e la mescolanza di etnie e provenienze hanno accentuato la diffidenza fra condòmini. Tutto questo ha spazzato via il “condominio famiglia” tipico degli anni Cinquanta, dove la maggior parte dei vicini di casa si conosceva e condivideva la quotidianità. Oggi invece si attuano varie strategie per eludere il contatto con i vicini di casa. Il 79% del campione analizzato fa finta di niente quando incrocia il vicino di casa, abbassa lo sguardo o fa finta di scrivere un messaggio con lo smartphone. La seconda strategia è la frase “Scusa ma sono di fretta” (68%) o “Sono in ritardo” (64%). Il 45% preferisce fare le scale a piedi se l’ascensore è già occupato da altri vicini. Il 39% controlla che sulle scale non ci sia nessuno al momento di uscire di casa.
Sono soprattutto gli uomini ad essere diffidenti nei confronti dei vicini di casa (69%), mentre le donne (53%) appaiono più disposte ad accorciare le distanze. I meno propensi al dialogo con il vicinato sono i manager (68%), i liberi professionisti (65%), gli avvocati (64%), i banchieri (63%) e gli impiegati (62%).
Giunge a conclusioni opposte la ricerca condotta da Research Now nel 2018, basata su un campione di oltre mille italiani. Secondo l’agenzia di ricerca, gli italiani attribuiscono grande importanza ai rapporti con i propri vicini: il 67% del campione analizzato afferma di essere in buoni rapporti con i propri vicini, il 22% li definisce ottimi. L’82% si ripromette di migliorare questi rapporti. In particolare il 48% vorrebbe creare un legame di fiducia, il 19% vorrebbe allargare la propria cerchia sociale, il 19% vorrebbe sentirsi più coinvolto nella vita di quartiere, il 14% vorrebbe sapere di poter contare su qualcuno in caso di bisogno.
Chi ha ragione? Il campione analizzato dalle due ricerche è decisamente esiguo per poter giungere a conclusioni che confermino l’attitudine degli italiani su questo tema. Tuttavia il desiderio crescente di socialità, che parte dall’ausilio di piattaforme social, è confermato in modo inequivocabile dalla nascita di svariate esperienze che vanno in questa direzione.
Socialstreet, MyNeighbourhood, Toctocdoor, FirstLife, Nextdoor: il digitale a servizio della comunità. Il primo fenomeno di questo genere esteso su scala nazionale sono le Social Street che negli ultimi anni ha registrato una crescita esponenziale proprio grazie all’utilizzo di massa di Facebook e dei suoi gruppi chiusi. Nate dalla storica esperienza degli abitanti di via Fondazza a Bologna nel 2013, le social street oggi sono circa 450, dal nord al sud Italia e all’estero. Rispondono a una esigenza molto concreta: la voglia di superare le strette maglie dell’individualismo e di condividere interessi con chi abita a due passi dalla propria casa, portando avanti progetti di interesse comune. La social street, sebbene nasca on line, induce a uscire di casa e incontrare la gente di persona. Il wall del gruppo Facebook diventa agorà virtuale per affrontare temi di interesse generale legati alla strada o al quartiere, nonchè una “bacheca degli avvisi” per organizzare iniziative che consentano di interagire di persona per raggiungere un obiettivo comune: una festa organizzata in strada, una cena di Natale, un mercatino per barattare mobili e piccoli elettrodomestici, la pulizia della strada, il book crossing, ecc.
Spinte dal successo di Socialstreet.it, hanno preso vita molte altre esperienze di questo genere. Infatti, sebbene la tecnologia consenta a un numero sempre maggiore di persone di connettersi virtualmente da ogni parte del mondo, questo non fa venir meno il desiderio di rafforzare le interazioni nella vita reale. Fra il 2014 e il 2015 si è svolto il progetto MyNeighbourhood – MyCity, promosso e co-finanziato dall’Unione Europea su fondi del programma CIP (Competitività e Innovazione). L’iniziativa, che non può essere definita “nata dal basso”, puntava comunque al coinvolgimento di cittadini legati dall’interesse comune del benessere proprio quartiere. Si rivolgeva alle periferie a rischio di degrado ed emarginazione di alcune città europee (Aalborg in Danimarca, Birmingham nel Regno Unito, Lisbona in Portogallo e il quartiere di Quarto Oggiaro di Milano) con l’obiettivo di alimentare le buone “relazioni di vicinato”, facendo germogliare il capitale sociale legato al territorio e alla gente che vi abita. Anche MyNeighbourhood aveva la sua piattaforma social - “Neighbourbook” simile a Facebook - orientata a facilitare le relazioni e implementare le attività off line in cui la gente si incontrava di persona. Questo uso socio-digitale delle tecnologie, tipico di una città intelligente che pone le persone al centro dell’innovazione e della rigenerazione urbana, promuoveva il principio di Human Smart city.
Toctoctoor, una piattaforma virtuale per condividere tutto ciò che accade nel proprio quartiere, è nata nel marzo 2016 da una startup di Foggia e si sta espandendo a Torino, Bologna, Roma e Milano. Parte dalla community on line per rivitalizzare la comunità reale rispondendo a bisogni molto pratici: informazioni sugli eventi di quartiere, consigli per trovare una baby-sitter, condivisione di esperienze positive e negative legate al quartiere.
FirstLife rientra nella categoria dei social network civici ma ha ambizioni più ampie: creare, condividere e scambiare informazioni fra attori privati e pubblici coinvolti in iniziative sociali, commerciali e ricreative, nonché nella gestione dei servizi locali di quartieri e intere città. Sviluppata nel 2013 dal gruppo di ricerca “Social Computing” del Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino, FirstLife è una piattaforma di crowdsourcing basata su una mappa interattiva che segnala attività e progetti associati ai luoghi con newsfeed sulla mappa in modo che cittadini, associazioni, istituzioni possano postare sulla mappa luoghi, eventi, notizie, storie e creare gruppi. Gli utenti possono registrarsi sui temi di loro interesse e diventare membri di gruppi per coordinarsi fra di loro in maniera bottom up.
Lanciata in Italia nel settembre 2018, Nextdoor è l’ultima arrivata. Si tratta ancora una volta di una app di quartiere che facilita e promuove le relazioni locali. Nasce nel 2011 negli Stati Uniti e, dopo aver registrato ampio successo, si espande in Europa nel 2016. Oggi è presente in oltre 200mila quartieri di Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi e Germania. In Italia connette circa 30mila abitanti di oltre 350 quartieri. Classico esempio di startup che attrae business angels, ha raccolto più di 250 milioni di dollari da parte di investitori americani ed europei tra cui Benchmark, Greylock Partners, Tiger Global Management, Kleiner Perkins Caufield & Byers e Axel Springer.
Anche questa piattaforma ha l’obiettivo di mettere in contatto fra loro vicini di casa e di quartiere per creare o rivitalizzare le comunità locali, per migliorare la qualità di vita dei quartieri e renderli più sicuri. E, restando in tema di sicurezza, Nexdoor ha puntato sulla sicurezza informatica in un momento storico in cui cresce l’attenzione nei confronti della protezione di informazioni e dati personali: gli indirizzi di chi si registra a un gruppo di quartiere vengono verificati uno ad uno per assicurarsi gli utenti vivano effettivamente in quel quartiere, le conversazioni sono accessibili solo ai vicini verificati del proprio quartiere, l’accesso alla piattaforma è protetto da password, i contenuti condivisi nei quartieri e le informazioni personali dei membri non possono essere individuati tramite nessun motore di ricerca.
Che cosa si fa nelle community on line di Nextdoor? Sostanzialmente ciò che abbiamo citato a proposito di altre piattaforme analoghe: si fanno domande su tematiche connesse al quartiere, ci si scambia consigli e raccomandazioni, si organizzano eventi, si cerca una babysitter o un idraulico di fiducia.
Si possono anche promuovere iniziative come quella di Vincenzo Gardani, direttore d’orchestra che vive a Gambara, un quartiere di Milano, che ha affittato dal Comune di Milano la piazza del quartiere e ha usato la piattaforma Nextdoor Gambara per promuovere un evento a scopo benefico. Lo scorso 23 settembre ha organizzato un concerto in piazza per raccogliere fondi per curare Lidia, una bambina affetta da una malformazione intestinale che ha bisogno di sottoporsi a costose cure all’estero. Una storia del genere conferma quanto dice Nirav Tolia, co-founder e CEO di Nextdoor, “sebbene la tecnologia consenta a un numero sempre maggiore di persone di connettersi virtualmente da ogni parte del mondo, è un desiderio comune quello di rafforzare i legami nella vita reale che si traducono in interazioni, esperienze significative e in una vita sociale più ricca”.