Venti chili non sono tanti. È il peso che un adulto può trasportare in uno zaino. Per costruire una bomba atomica capace di un’esplosione pari a 200.000 tonnellate di tritolo serve molto meno, bastano 10-15 chili di Plutonio. Per una «bomba rudimentale» ne sono sufficienti da 1 a 6 chili. Ecco perché questo metallo, che si ottiene piuttosto facilmente nel normale ciclo di produzione energetica di alcune centrali nucleari, è tanto ambito. Ecco perché fa tanta paura. Ed ecco perché la sola ipotesi che un traffico di Plutonio sia passato per il Centro Enea di Basilicata, nel comune di Rotondella, ha tolto il sonno a tanti valenti magistrati, con alterne (s)fortune. Il primo a mettersi sulle tracce radioattive è, nel 1994, il procuratore di Matera Nicola Maria Pace (1944-2012). È lui a dare la stura a indagini che si sono aperte in mille rivoli e Procure, intersecandosi con quelle sui rifiuti nucleari che sarebbero stati smaltiti illegalmente in patria e all’estero.
Indagini disseminate di difficoltà e lutti, tra morti sospette (Natale De Grazia, Vincenzo De Mare10) e morti ammazzati (Ilaria Alpi e Miran Hrovatin11). Ma Pace non fa in tempo. Il lucano nel 1998 viene trasferito dai Sassi all’altro capo del Paese, in Friuli Venezia Giulia. Il procuratore di Potenza Giuseppe Galante (con la sostituto Felicia Genovese), che l’anno seguente eredita le sue ricerche è l’unico che “sfiora” questo inafferrabile Santo Graal dello sterminio. Conduce «l’inchiesta “Nucleare Connection” in cui alcuni ex dirigenti Enea sono stati indagati con esponenti della ‘ndrangheta per traffico di materiale nucleare e smaltimento illecito di scorie radioattive12». Ma poi, dopo 35 anni in magistratura, il 28 febbraio 2007 Galante si ritrova iscritto nel registro degli indagati dal sostituto procuratore di Catanzaro, Luigi De Magistris. Coinvolto nel cosiddetto scandalo “toghe lucane”, accusato di corruzione e abuso d’ufficio nell’ambito di un presuntocomitato d’affari segreto, Galante si ritira a vita privata. Si difende e aspetta. Ne esce pulito e, il 31 agosto 2010, l’ex procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Basilicata si toglie un gran sassolino.
Alla presentazione di un libro del giornalista dell’“Economist” David Lane, afferma: nel Centro Enea «i miei consulenti trovarono Plutonio. Che non doveva esserci perché il riprocessamento riguardava il ciclo Uranio-Torio. Ma non potetti proseguire oltre poiché un “disco rosso” me lo impedì». E aggiunge: «Posso ora parlare di “Nucleare connection15” dato che sono un libero cittadino e poiché l’inchiesta non è più coperta dal segreto istruttorio, poiché archiviata». Secondo lui «si è trattato di rimanenze di Uranio arricchito che è passato dalla Basilicata e poi è andato verso altri lidi o, ipotesi meno probabile, è stato cambiato il ciclo delle lavorazioni condotte» nel centro atomico lucano. Per l’ex procuratore «la materia è alla diretta disposizione della Presidenza del Consiglio. Ed i Servizi segreti sono ovunque: sia quelli “regolari” sia quelli deviati». Da quel giorno, a quanto risulta, nessuno più ha avuto il fegato di parlare di Plutonio, se non per disinnescare i (più che leciti) timori dell’opinione pubblica, attraverso una serrata campagna di minimizzazione, distorsione, o peggio. Tra le vittime eccellenti di questo incessante lavorio ci sono le numerose Commissioni parlamentari di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. Per esempio, proprio mentre l’ex procuratore Galante parla di Plutonio, è operativa la Commissione presieduta dall’on. Gaetano Pecorella (Forza Italia). Nella relazione finale, i parlamentari-ispettori affermano che l’impianto Enea nel mirino dei magistrati «fu chiuso nel 1987». Affermano di aver controllato le ipotesi di Galante, di aver «acquisito la relazione predisposta dai consulenti tecnici incaricati nel 2001 dalla direzione distrettuale antimafia di Potenza di verificare» se in Basilicata fosse stato trattato «materiale diverso da quello autorizzato e se si fosse in particolare ricavato Plutonio».
Infatti, scrivono, «tale sostanza dovrebbe risultare assente dall’impianto, poiché in esso dovrebbe essere stato trattato solo combustibile del ciclo Uranio-Torio, dove il Plutonio non è presente, né viene prodotto durante la fase di irraggiamento all’interno del reattore». In effetti, rilevano, è emerso che «in alcune aree» dell’impianto c’è «una presenza di tracce di Plutonio» e ciò quindi dimostra che vi sono state «violazioni delle prescrizioni nella conduzione delle attività di collaudo autorizzate», però esso, a giudizio dei politici, è «di per sé un reato contravvenzionale», e tutto sommato «l’esiguità di tali tracce fa ragionevolmente escludere che nelle aree in questione sia stato trattato materiale con quantità di Plutonio significative, tali cioè da alimentare un traffico illecito».
Non chiariscono quali quantità sarebbero da considerare “significative”, ma riportano l’audizione del «responsabile della società Mit Nucleare, l’unica ditta italiana che si occupa del trasporto di combustibile e di materie nucleari» nel passo in cui spiega come, «nel 1994», ha effettuato «il trasporto dall’impianto Eurex di Saluggia all’impianto» lucano, «di una scatola a guanti. All’interno di quella apparecchiatura, nell’impianto Eurex era stata fatta una lavorazione con Plutonio e pertanto in essa vi era una contaminazione di tale sostanza. Si trattava solo di tracce, ma, non potendo determinare l’esatta quantità poiché la misura avrebbe richiesto l’apertura della scatola a guanti, nei documenti di trasporto fu prudenzialmente dichiarata la quantità massima compatibile con il regime autorizzativo nel quale il trasporto stesso veniva effettuato. Secondo il responsabile della Mit, a distanza di una settimana la stampa riportava le dichiarazioni di un incaricato della portineria dell’impianto, il quale, avendo fotocopiato i documenti, sosteneva che nell’impianto fosse entrato Plutonio, mentre si trattava solo di una scatola a guanti con tracce di contaminazione». Come dire che i giudici, nelle cui mani arrivò la copia della bolla d’accompagnamento del Plutonio, furono da essa tratti in inganno e, quindi, in buona fede, sbagliarono a ipotizzare un traffico di rifiuti radioattivi.
Certo, può darsi. D’altronde può ben risultare sospetto che, nel 1994, sia consegnato Plutonio, fosse anche in quantità modica, ad un impianto della Basilicata «chiuso» nel 1987, cioè 7 anni prima. La medesima Commissione parlamentare, il 28 febbraio 2012, ottiene di audire l’allora procuratore di Matera. Si chiama Celestina Gravina e afferma senza mezzi termini che sul Centro Enea «ci sono chiacchiere da comari. Le ho sentite direttamente – dice – perché la spiaggia di Rotondella è la mia preferita, è un posto stupendo, incantato, dove vado a fare il bagno. Solo chiacchiere da comari19». I parlamentari sono molto impressionati da queste parole. Né loro né la Gravina potevano sapere che, ipotizzando lo scarico di acqua contaminata proveniente dall’impianto nucleare proprio in quel tratto «incantato» di Jonio, il 13 aprile 2018, i Carabinieri hanno sequestrato la condotta a mare del Centro Enea.
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