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Tartufi esposti
La mala del tartufo, tra trappole avvelenate e cani uccisi
Vale quanto l’oro e sviluppa un giro d’affari internazionale da milioni di euro. il 2017  è stato un anno da prezzi record. E dietro questo business c’è anche chi agirebbe con metodi malavitosi
Gianni Svaldi | 2 January 2018

King è morto mentre battevano il tartufo bianco a 600 euro l’etto. E se ci fosse mai un collegamento tra i due fatti, è in queste prime due righe. Perché, in maggior modo quest’anno, per le scarse piogge, il fungo ha raggiunto prezzi da record e alcuni cercatori spietati sarebbero disposti a fare tutto, anche a spargere pericolosissime esche avvelenate. “I tartufi lucani sono persino più profumati di quelli d’Alba, ma vengono venduti come se fossero piemontesi perché agli acquirenti sprovveduti è importante più il fatto che il tartufo sia piemontese che la qualità”, dice un cercatore. Di prove scritte su questa “confusione” tra territori nella vendita non ce ne sarebbero. E, forse, il tartufaro sentito potrebbe peccare un po’ di campanilismo. Di certo la Basilicata di tartufi di altissima qualità ne produce tanti. A fine ottobre ne è stato trovato uno da 600 grammi, una vera rarità da far venire invidia (e l’acquolina in bocca) in tutto il mondo. Nei boschi tra Stigliano, Carbone, Sant’Arcangelo, sul confine tra il Materano e il Potentino si trovano tartufi bianchi e neri. E da sempre la zona è battuta dai cercatori.

La crisi, dicono qui, negli ultimi dieci anni avrebbe portato “nuovi cercatori” e “guerre” per il controllo del territorio. Ipotesi. Di fatto la stagione del tartufo bianco si chiuderà il 31 dicembre. La caccia agli ultimi pezzi che serviranno a profumare le tavole dei ricchi cenoni di capodanno è spietata. Il forte dubbio è che, oltre ai tantissimi tartufari onesti, vi siano persone che gestirebbero la raccolta con metodi malavitosi. Per ora le forze dell’ordine – stando a quanto abbiamo appreso – hanno raccolto delle denunce di sospetti avvelenamenti di cani.

Se le denunce si trasformeranno in una inchiesta sui metodi usati da tartufari per imporre il loro dominio sul territorio è troppo presto per dirlo. Ma di certo – dicono qui – per uno che non è del settore, entrare nella raccolta dei tartufi è un po’ come per uno studente vendere d’estate il cocco sulle spiagge romagnole o sarde. Bene che ti vada ti becchi insulti e occhiatacce dagli habitué. Se ti va male prendi botte da orbi: ne sanno qualcosa gli inviati delle Iene che rischiarono grosso in due inchieste sui venditori ambulanti.
Il (presunto) racket del tartufo si giocherebbe perlopiù sui cani: ci sarebbero tartufari che lasciano nel bosco esche avvelenate per uccidere i cani della concorrenza. Perché è il cane che fa la differenza tra un tartufaro che torna a mani vuote e uno che torna a casa la sera con migliaia di euro di valore nella sacca.

“Noi raccoglitori locali vendiamo il tartufo bianco anche a 300 euro l’etto, poi viene rivenduto circa al doppio agli acquirenti finali”, racconta la nostra fonte. “I pezzi più preziosi non restano in Italia, prendono la strada delle aste internazionali o degli Emirati Arabi”. Un giro da milioni di euro. Le cronache locali in Basilicata hanno spesso sollevato il problema. E la mala del tartufo opererebbe anche in Piemonte e in Abruzzo. Anche lì le cronache riportano di casi di avvelenamento. Basta digitare su qualsiasi motore di ricerca “tartufi cani avvelenati” e si apre un mondo fatto di notizie di cronaca e di rimedi artigianali per difendere i cani dalle mortali trappole della concorrenza, a partire dalle museruole.

 

 King non era un cane da tartufo, era un maremmano, un cane da guardia che accudiva un gregge di capre e una mandria di podoliche. Lo hanno visto un giorno di fine novembre rientrare a casa che a malapena si reggeva sulle quattro zampe. E’ stato soccorso e portato da un veterinario. Secondo i proprietari ha mangiato una delle esche usate da alcuni tartufari per tenere lontana la concorrenza. Gli accertamenti sono ancora in corso. Per adesso c’è il sospetto avvelenamento. Un dubbio che apre il campo a tante domande. Se il sospetto fosse confermato, chi va in giro nei boschi e lascia esche avvelenate? Perché questo avviene durante il periodo della raccolta del tartufo bianco, il frutto commestibile più prezioso dei boschi italiani? E, la più inquietante: il veleno potrebbe entrare nella catena alimentare umana se ingerito da cinghiali o maiali, animali onnivori? Potrebbe entrare a contatto con l’uomo? Domande che per ora restano sospese su un mondo che noi conosciamo solo attraverso le immagini patinate delle aste e delle cucine dove il tartufo è re indiscusso della tavola. Poco sappiamo di quello che accade prima. Poco sappiamo di quali interessi può suscitare il business di questo tubero profumato, e prezioso come l’oro.

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