Stavano svolgendo un’inchiesta giornalistica su traffico d’armi e campi di addestramento palestinesi in Libano. Parla il fratello di Graziella De Paolo: “Ogni volta che qualcuno ci aiuta e indaga con noi improvvisamente si ferma, ha paura di andare avanti”
A Beirut, nel 1980, in piena guerra civile, due giornalisti inviati nella capitale libanese spariscono misteriosamente. Graziella De Paolo e Italo Toni (24 e 50 anni all’epoca dei fatti) sono due giornalisti del Paese Sera, giornale di Roma fondato dal Partito Comunista Italiano. La loro scomparsa non ha sempre riempito le pagine dei quotidiani o le intere puntate di trasmissioni televisive, al contrario uno strano silenzio ha spesso caratterizzato questa storia di cronaca nera che non ha riguardato solo le vite di due persone, ma i segreti dello Stato italiano. Graziella e Italo scompaiono il 2 settembre del 1980 quando in Italia regnava la tensione e la paura. Pochi giorni prima 85 persone avevano perso la vita in uno dei più gravi atti terroristici del secondo dopoguerra, la strage della stazione di Bologna. «Graziella è sempre stata una ragazza intraprendente, – ci racconta Giancarlo De Palo, giornalista e fratello della vittima – il suo obiettivo era fare giornalismo investigativo, le piaceva portare a galla storie controverse. Sin dai suoi primi articoli si capì la sua tenacia». Graziella De Palo riesce, a soli vent’anni, a scoprire e denunciare un traffico importante di armi tra Italia e vicino oriente, interessandosi soprattutto alla figura del colonnello Stefano Giovannone, capocentro del Sismi, Servizio informazioni e sicurezza militare, a Beirut e figura centrale in tutta la vicenda della sua scomparsa. Dopo aver collaborato con diverse agenzie di stampa e testate locali approda a Paese Sera dove pubblica i suoi articoli più importanti di politica internazionale. Il 21 marzo del 1980 esce un suo pezzo significativo dal titolo “False vendite, spie e società fantasma: così diamo armi”, sul traffico di armi e droga che dal Medio Oriente giungeva in Italia. Un argomento molto delicato e poco trattato dai media che porta a galla scomode verità sul bel paese ormai diventato uno dei maggiori produttori di armi, generalmente vendute a paesi del terzo mondo, quarto dopo Stati Uniti, Unione Sovietica e Francia. Vendita che molto spesso avveniva con attiva collaborazione dei servizi segreti. «Graziella non si è mai fermata di fronte a nulla, non aveva paura – continua Giancarlo De Palo -. Pochi giorni prima della sua partenza in Libano era avvenuta la strage di Bologna e aveva incominciato a indagare sulla pista libanese, era sicura che c’entrasse qualcosa. Le ho sempre detto che era pericoloso continuare, ma era testarda, come tutti i grandi cronisti».
Graziella e Italo partono per Beirut e i campi profughi palestinesi il 22 agosto per un viaggio organizzato dall’Olp, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Due giorni dopo i due inviati passano in macchina la frontiera tra Siria e Libano arrivando nella capitale libanese dove ad attenderli c’è Al Fatah, la principale organizzazione dell’Olp guidata da Yassern Arafat. Il 1° settembre Graziella e Italo si recano all’ambasciata italiana a Beirut, con l’obiettivo di visitare il sud del Libano e la postazione dell’Olp. «Graziella e Italo – prosegue il racconto del fratello – hanno subito avvisato che, se non avessero fatto ritorno tre giorni dopo all’hotel Triumph, l’ambasciata avrebbe dovuto cercarli. La mattina del 2 settembre sarebbero dovuti partire per il sud del Libano su una jeep del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, ma da quel momento non si è saputo più nulla. L’ambasciata si è allertata solo il 15 settembre». E’ solo grazie alle sollecitazioni della famiglia della giovane che finalmente, quindici giorni dopo, iniziano le indagini. L’inchiesta viene affidata al capo del Sismi, Stefano Giovannone che sarà poi rinviato a giudizio per favoreggiamento, ma mai condannato a causa della sua morte. Il 17 ottobre 1980 l’ambasciatore italiano a Beirut Stefano D’Andrea scrive un telegramma indirizzato alla segreteria generale del ministero degli Esteri dichiarando che il rapimento di Graziella e Italo è opera di Al Fatah e precisando di essere a conoscenza del nome dei rapitori. Il telegramma non venne reso noto. Sarà Giovannone a far emergere la tesi che i due giornalisti erano stati rapiti a Beirut Est, sostenendo anche che Graziella era viva. Notizie confuse, fosche, che nel corso del tempo non hanno mai aiutato le indagini, ma hanno portato la famiglia della ragazza a ipotizzare che il Sismi stava creando una falsa pista affermando che la giornalista si trovava in un luogo dove in realtà non era mai stata: nel settore falangista del Libano. «Sono passati 37 anni – spiega De Palo – e ancora adesso ci sono molti dubbi su questa vicenda. Ho fatto arrestare il capo dei servizi italiani Giovannone che ha coperto le colpe dell’Olp per il lodo Moro, che garantiva l’impunità ai palestinesi che si erano impegnati a non fare del male agli italiani. Sono sicuro che mia sorella sia stata uccisa da loro. Ma ciò che ha fatto lo Stato italiano è anche peggio. Graziella aveva descritto traffici illegali di armi, denunciato come alcuni settori dello Stato avessero ripetutamente coperto attività illegali di questa natura e proprio uno di quegli organi avrebbe dovuto adoperarsi per la sua salvezza». Nel 1984 il presidente del Consiglio Bettino Craxi appose il segreto di Stato e i nomi stessi di Graziella e Italo vennero rimossi dagli elenchi degli appositi annali ufficiali internazionali che nominano i giornalisti caduti sul mestiere. Il segreto di stato è stato rimosso solo nel 2014 dopo una serie di battaglie della famiglia De Palo. «C’è uno strano silenzio attorno a questa vicenda. A differenza di molti altri fatti di cronaca, la storia di mia sorella e del suo collega dopo i primi anni non è mai più stata raccontata. Ogni volta che qualcuno ci aiuta e indaga con noi improvvisamente si ferma, ha paura di andare avanti. Anche i primi anni sono stati molto difficili, abbiamo subìto una specie di censura da parte dei media. Abbiamo avuto molte persone vicine che ci hanno aiutato, politici e altri giornalisti, ma mai nessuno ci ha raccontato davvero come sono andate le cose e perché quel maledetto giorno hanno deciso di ucciderli».