L’Agenzia europea per le sostanze chimiche ha classificato il glifosato come non cancerogeno, ma L’Oms lo dichiarò nel 2015 “probabilmente cancerogeno”. Ora un centro di ricerca in cooperativa di Bologna vuole vederci chiaro. La direttrice: “Questo composto potrebbe avere un’azione tossica sugli spermatozoi”
NAPOLI – Il glifosato, o glyphosate, è uno degli erbicidi più diffusi in campo agricolo ed è tema principale dei media internazionali. E’ notizia recente che l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) avrebbe classificato il glifosato come non cancerogeno, facendo allarmare il mondo della ricerca internazionale in quanto l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) lo dichiarò nel 2015 “probabilmente cancerogeno”. Proprio dall’Italia sta per partire una iniziativa mirata a raccogliere fondi per poter dimostrare se questo prodotto è realmente cancerogeno o no. La cooperativa sociale Onlus “Istituto Ramazzini” di Bologna, uno dei più grandi centri di ricerca indipendente in Europa per la prevenzione del cancro e delle malattie di origine ambientale che comprende il “Centro di Ricerca Sul Cancro Cesare Maltoni”, ha indetto un crowdfunding, che partirà dall’Australia per giungere negli Stati Uniti, in Europa e infine in Italia. Una campagna che coinvolgerà l’intero mondo. Fiorella Belpoggi, direttrice del Centro di Ricerca Cesare Maltoni, ospite del Festival dell’innovazione di Napoli “Futuro Remoto”, ha spiegato il ruolo dell’istituto in questa battaglia contro l’utilizzo del glifosato sul quale ormai da tempo è aperto un contenzioso scientifico.
LA STORIA – Il glifosato è uno degli erbicidi più diffusi in campo agricolo, principio attivo del prodotto commerciale Roundup, di cui la multinazionale Monsanto ha detenuto il brevetto di produzione fino al 2001 con un mercato di decine di miliardi di dollari l’anno. Normalmente viene associato alle colture di piante modificate geneticamente, proprio dalla Monsanto stessa, per resistere a dosi copiose dell’erbicida. L’utilizzo diffuso e sempre più intensivo del glifosato in associazione all’uso di organismi geneticamente modificati (OGM) pone ulteriori rischi per l’ambiente e la salute. Gli agricoltori possono così irrorare le coltivazioni con grandi quantità di erbicida utile per eliminare in un colpo solo tutte le erbe infestanti, senza intaccare le coltivazioni. L’utilizzo di glifosato sulla soia, il mais e il cotone è così aumentato drasticamente in Nord e Sud America. Ad oggi risulta essere il diserbante più utilizzato al mondo ed è in mercato da più di venti anni. In Europa sono 14 le aziende che lo producono. Si usa in agricoltura ma anche per la cura dei giardini, degli spazi verdi e vicino alle ferrovie per tenere puliti i binari. Nel 2016 la Bayer, azienda chimica e farmaceutica tedesca, ha acquistato la Monsanto Company alla cifra record di 66 miliardi di dollari, creando così un colosso nel campo dell’agrochimica. E’ stato lo “IARC”, International Agency for Research on Cancer, organismo internazionale con sede a Lione che coordina la ricerca sulle cause del cancro, a pubblicare e diffondere dei dossier dove viene valutata una probabile cancerogenità del prodotto. La Commissione Europea ha affidato questi dossier a uno degli stati membri, la Germania, che, invece, ha valutato il composto come “improbabile cancerogeno” e ha smentito l’Organizzazione mondiale della sanità. «Il glifosato – spiega Fiorella Belpoggi – in India è già stato bandito. Questo composto potrebbe avere un’azione tossica sugli spermatozoi e quindi contribuire all’infertilità maschile. Noi ricercatori vogliamo vedere questi lavori per capire dov’è la verità. Il nostro istituto indipendente ha deciso, con i soldi dei soci bolognesi, di fare uno studio a novanta giorni e il nostro obiettivo è di pubblicarlo prima del verdetto della Commissione Europea, in modo da rallentare i tempi. Anche un biostatistico, che ha lavorato per anni per il National Toxicology Program (NTP) americano, ha rivisto i lavori e ha confermato che ci sono abbastanza dati per ammettere una probabile cancerogenità». L’autorizzazione per l’utilizzo del glifosato dovrebbe essere rinnovata a settembre prossimo. La Commissione Europea ha deciso di concedere ancora dieci anni per l’uso, mentre il mondo della ricerca continua a chiedere che tale prodotto venga bandito o che sia ristretto il tempo di utilizzo a cinque anni.
«Questo genere di ricerche portano via molti anni, – continua la direttrice del centro Cesare Maltoni – rischiando spesso di non venirne fuori. Ci sono studi che possono essere fatti in modo adeguato con dati solidi e incontestabili e altri che forniscono studi borderline. Di solito questi secondi studi sono forniti dall’industria e questo è il problema attuale. Gli studi sulla sicurezza degli alimenti non sono effettuati da laboratori indipendenti, ma commissionati dalle industrie stesse. In pratica controlla chi dovrebbe essere controllato. E’ una storia in cui abbiamo preso posizione e lottiamo affinché il sistema venga cambiato». Oggi sul mercato internazionale vengono venduti circa 1.500 pesticidi diversi. E in Italia se ne vendono 600 in quasi 7mila formulati differenti. Circa metà del nostro cibo sarebbe contaminato da residui di pesticidi e il 25 percento presenterebbe casi di multi residuo, arrivando a contenere più di dieci pesticidi in un solo campione. (fonte Internet: www.discruptingfood.info/en/consumer-guide).
L’istituto bolognese, nato nel 1987 con 26 mila soci e 28 ricercatori e dipendenti, si è candidato per studiare in maniera indipendente questo composto, anche con i fondi che arrivano dall’industria, purché abbiano la libertà di produrre dati veri. «In un mondo ideale si dovrebbe stabilire che un ente, che si occupa della salute degli alimenti, dica all’industria di mettere a disposizione 3 milioni di dollari per effettuare degli studi sui prodotti che vuole inserire sul mercato. Questi fondi dovrebbero essere distribuiti a laboratori indipendenti per fare degli studi. La corruzione non andrebbe completamente abbattuta, perché dipende dalle persone, ma si farebbe un grande passo avanti».
GLI STUDI – I ricercatori del Ramazzini stanno effettuando studi sugli effetti del composto sul sistema endocrino maschile e femminile e sullo sviluppo sessuale delle generazioni future. Nel rispetto degli animali hanno esposto dei ratti a dosi di glifosato ammesse nell’uomo e disciolte nell’acqua. La valutazione dei risultati verrà effettuata da centri di ricerca degli Stati Uniti, dell’Inghilterra, della Francia, della Germania e dell’Italia. Uno studio che ha coinvolto e continua a coinvolgere non solo gli scienziati dell’Istituto Ramazzini, ma anche sessanta ricercatori nel mondo. «Lanciare una ricerca così importante – conclude Fiorella Belpoggi – non è solo un traguardo per noi scienziati, ma per l’intera umanità perché riguarda la nostra salute che nessun governo avrà mai a cuore. Parlano poco della nostra realtà perché siamo indipendenti e quando non dipendi da nessuno paghi le conseguenze in termini di fondi e comunicazione. veniamo spesso invitati in trasmissioni come Report, ma abbiamo molte difficoltà economiche. Nel 2004 la Regione ci ha tolto il mantenimento e siamo stati messi fuori dal sistema sanitario, viviamo di fondi dal 5 per mille, di feste organizzate dai nostri soci e di commesse che arrivano fuori dall’Italia. Ma la ricerca deve andare avanti, tutto questo lo facciamo da soli perché potrà salvare tantissime vite».