L’ammissione nero su bianco nel Manifesto di Bari redatto durante il summit G7 Finanza: “Nessun punto del cyber spazio può essere assolutamente sicuro finché le minacce cyber persistono nell’ambiente circostante”
BARI – «Riconosciamo che i cyber incidenti rappresentano una minaccia crescente per le nostre economie e per questo sono necessarie appropriate risposte politiche su vasta scala. Nessun punto del cyber spazio può essere assolutamente sicuro finché le minacce cyber persistono nell’ambiente circostante. L’obiettivo di rafforzare il sistema finanziario contro gli attacchi cyber può raggiungere i massimi risultati solo se accompagnato da misure che riducono il livello di insicurezza nell’intero cyber spazio”. Sono queste le parole che emergono dal comunicato finale del G7 delle Finanze tenutosi a Bari dall’11 al 13 maggio scorso. Le sette potenze del pianeta hanno, infatti, richiamato le Organizzazioni internazionali e i governi a collaborare con il settore privato per migliorare la condivisione dei dati sulla cyber security. «Alla luce di questa minaccia – prosegue il comunicato – le metodologie di raccolta e di condivisione dei dati, quando appropriate, dovrebbero essere condivise e coerenti tra Paesi affinché i risultati siano paragonabili». Ci si è resi conto, ancora una volta, che il problema della sicurezza nel contesto economico e geopolitico attuale, nel quale internet ha assunto un livello di diffusione rilevante, è di fondamentale importanza per la gente comune e soprattutto per le grandi personalità.
Nell’universo online ogni dato lasciato è, infatti, intercettabile: e-mail, social network, blog, commenti, fotografie. Tutto ciò che inseriamo al momento di qualsiasi registrazione su portali o pagine internet viene memorizzato e inglobato nell’etere senza che nessun servizio possa davvero garantire l’anonimato al cento per cento. Potremmo quindi affermare di essere tutti sotto controllo. La più grande invenzione del ventunesimo secolo ha introdotto chiunque in un sistema dorato, ma al tempo stesso esposto a rischi di truffe, furti di informazioni e sabotaggio. Le intrusioni da parte di hacker nel mondo privato di aziende e soprattutto di personalità rilevanti della politica e della società, hanno portato molto spesso a conseguenze devastanti sulla vita personale, ma soprattutto economica di un intero Paese. Un problema che gli Stati Uniti hanno e cercano tuttora di affrontare. La cyber security è stata, infatti, una delle priorità annunciate da Donald Trump durante la sua campagna elettorale, segnata da scandali su di lui e sulla sua sfidante Hillary Clinton. A pochi mesi dall’insediamento, il presidente Usa ha firmato un ordine esecutivo per rafforzare le difese informatiche e proteggere le infrastrutture critiche dai cyber attacchi. Gli Stati Uniti sono, infatti, i leader nel campo dello spionaggio ai fini della sicurezza. Secondo una ricerca del Government Accountability Office degli Stati Uniti nel 2004 c’erano circa 200 programmi dedicati alla raccolta di dati personali portati avanti da 16 agenzie federali che potevano mettere a rischio la sicurezza del paese. Risale al 2012 il caso di Edward Joseph Sowden, uno specialista della CIA e dell’NSA (National Security Agency, agenzia preposta all’analisi dei dati utili alla sicurezza degli Stati Uniti) che decise di dichiarare ai media diverse notizie relative alle pratiche proprio dell’NSA. Da queste rivelazione emerse che l’America controllava, con un sofisticato sistema di sorveglianza globale, ogni singolo utente. Gli Stati Uniti dopo una esitazione iniziale ammisero le loro colpe e iniziarono a dare la caccia a Snowden. Questo caso sollevò ulteriormente il problema della privacy sul web, dove i dati delle persone comuni vengono venduti per scopi commerciali o consegnati ad agenzie di sicurezza. Di facile intuizione è la condizione di molti colossi del web che riescono a guadagnare milioni di dollari pur offrendo servizi gratuiti. E’ nel momento della registrazione, su qualsiasi portale, che spesso viene chiesto di accettare le condizioni sulla privacy e cioè accettare che i dati sensibili non rimangano segreti. E’ di qualche giorno fa la notizia di 45 mila attacchi hacker che hanno colpito 75 Paesi nel mondo. Nata come un’azione mirata contro gli ospedali britannici con computer di numerose strutture bloccate e ambulanze dirottate, si è rivelato un attacco globale che ha colpito numerose aziende europee. In Italia ha fatto scalpore il caso dei fratelli Occhionero arrestati lo scorso 9 gennaio con l’accusa di cyber spionaggio e procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato. I due fratelli gestivano, come accertato dagli investigatori del Cnaipic, Centro nazionale anticrimine informatico della Polizia postale, una rete di computer infettati con un particolare programma. Nell’ordinanza di custodia cautelare il gip spiegò che questo episodio non era un caso isolato ma che, al contrario, si collocava in un più ampio contesto dove più soggetti operavano nel settore della politica e della finanza. Hacker, o pirati del web, si muovono in modo indisturbato in un territorio ampio e vasto: il Deep web o web profondo, un mondo sommerso privo di regole e controlli dove esistono siti e servizi non rintracciabili con normali motori di ricerca. La preoccupazione e l’allarmismo per questo genere di spionaggio stanno crescendo in maniera vertiginosa tanto da portare molti Governi a censurare il web, per paura di diffusione di informazioni riservate, e a controllare la posta elettronica e le telefonate via internet con la scusa della sicurezza mondiale. Un grande occhio orwelliano sempre attento a scovare il nemico.