Bruxelles: Piolalibri
Dino Cassone | 30 April 2016

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C’è un posto nel cuore di Bruxelles, dove per una volta la parola “Italia” non è coniugata a “sole, mandolino, pizza e amore”. O, nella peggiore delle ipotesi, alla parola “mafia”. A combattere questa fiera delle ovvietà e l’idea di un Italia troppo stereotipata ci pensa dunque una piccola grande realtà multiculturale; chiunque passeggiando per le suggestive stradine della Capitale d’Europa ci si può imbattere, imboccando rue Franklin e sostando ai numeri 66 e 68. Piolalibri è un progetto nato nel 2007 grazie all’incontro tra il libraio Jacopo Panizza e l’oste Nicola Taricco con lo scopo di creare un luogo in cui si cerca di fondere la cultura e la ricca diversità del nostro Paese con un approccio aperto verso tutte le altre comunità presenti in città.

Piolalibri non è solo libreria, è anche sala concerti e wine bar, un posto accogliente dove tra un libro da sfogliare, un buon bicchiere di vino e un gustoso piatto, si può anche assistere all’esibizione di artisti come Marina Rei, Paola Turci e Vinicio Capossela oppure incontrare personalità delle parola scritta come Antonio Pennacchi, Paolo Di Paolo, Wu Ming 2, o fenomeni del fumetto come Zerocalcare. E ancora, animazione per bambini e corsi di scrittura. Non ci siamo lasciati quindi sfuggire l’occasione di soddisfare “legittime curiosità” e capire le differenze tra due nazioni e popoli sostanzialmente diversi tra loro, scambiando quattro chiacchiere con la disponibile Francesca Simoni, che qui ci lavora.

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Com’è la situazione in Belgio, più scrittori che lettori come in Italia?

«Il Belgio  è un paese in cui si legge in maniera abbastanza solida oltre che variegata. Quello che mi ha colpito dei belgi è stata sicuramente la viva curiosità verso gli altrove letterari. Anche quando si tratta di scrittori poco conosciuti o di titoli lontani dalla scena dei più tradotti e premiati, si fanno consigliare, stuzzicare e provano a inoltrarsi nei sottoboschi alternativi con una sorta di audacia che in Italia, secondo me, è andata un po’ perdendosi».

Insomma questo popolo di lettori belgi è così perfettino? Non ha nessun mania?

«Questa è una domanda cattiva! Il libraio è come lo psicologo o l’avvocato, deve tutelare i suoi clienti con il segreto professionale! Non si smette mai di meravigliarsi davanti alla vastità del campione umano che si incontra in libreria. Inoltre, devo ammetterlo, non manca l’occasione per farsi quattro risate di fronte a certe bizzarrie». La simpatica ragazza continua a sorridere. Capiamo che avrebbe un universo di aneddoti da raccontarci, ma non si sbottona neanche a una sbattuta di ciglia alla maniera di Bambi.

Cambiamo allora argomento e ritorniamo ai libri. Qual’è il genere più letto?

«I gialli e i noir sono un genere che non conosce crisi. Anche i classici vengono spesso scoperti dagli stranieri o riletti dagli italiani».

Approfondiamo l’argomento best seller. Anche a Bruxelles, come accade da noi in Italia, sono i personaggi televisivi a spopolare nelle classifiche di vendita, appioppando delle vere e proprie sberle di umiliazione agli autori che della scrittura ne hanno fatto un appassionato mestiere?

«Direi di no, con le dovute eccezioni ma non sembra un fenomeno particolarmente sentito. Tuttavia bisogna fare attenzione a non generalizzare, non sempre suddetto fenomeno si traduce in una perdita in termini di qualità dell’offerta letteraria. In America, ad esempio, dove questa tendenza si è sviluppata e poi largamente diffusa, il mercato librario/editoriale rimane vivo ed eterogeneo come del resto i lettori, si è solo trovato un modo efficace per quel particolare mercato di raggiungere persone che prima, probabilmente, non leggevano molto».

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Francesca, parliamo delle case editrici indipendenti:  in che rapporto siete con esse?

«Con le case editrici indipendenti abbiamo diversi contatti e collaborazioni in corso; ci piace differenziare l’offerta e portare l’attenzione su libri in cui crediamo, per questo cerchiamo di dare spazio anche a cose che esulino dalle uscite dei colossi editoriali. E c’è l’imbarazzo della scelta: sono molte le piccole, temerarie case editrici che hanno fatto della diversità la loro bandiera. Letterature del nord Europa, libri per l’infanzia, a tema Lgbt, editoria per poeti contemporanei, insomma, quello italiano è un panorama più variegato di quanto non sembri ad una prima occhiata, dove fare libri vuol dire fare resistenza attiva contro quell’atarassia culturale che sembra essersi diffusa come un’epidemia negli ultimi decenni. Non è facile essere una libreria italiana indipendente all’estero, bisogna fare i conti con le volubilità del mercato, i prezzi iper-concorrenziali che si possono trovare altrove, le difficoltà di essere una realtà che si rivolge ad una nicchia; le sfide che dobbiamo fronteggiare sono continue e richiedono grande capacità di equilibrio, lungimiranza e passione, tutte cose che, fortunatamente, non ci mancano».

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Per chiudere la nostra chiacchierata, affrontiamo un argomento spinoso, croce e delizia di tutti gli editori. Cosa ne pensi della stampa a pagamento?

«Abbiamo ancora diverse perplessità: troppe le contraddizioni, i rischi e le sorprese spiacevoli. Ci sono capitati tra le mani libri  letteralmente illeggibili, sgrammaticati, raffazzonati, libri che erano e dovevano rimanere diari personali, al massimo stampe da tipografia per fare un regalo originale agli amici più stretti. Fortunatamente è capitato anche di trovare qualche perla di fiume in mezzo a tutto questo marasma, ma se da una parte trovo bella l’idea di una libertà di stampa che non si era ancora spinta così in là, dall’altro mi domando se sia saggio affidare al denaro, all’individualismo e presenzialismo moderno la scelta di cosa merita di stare in libreria. Il mio timore è quello di trovarsi di fronte ad una mera volontà di lasciare un segno, ad una vacua vanità e voglia di apparire invece che davanti a quell’urgenza di condividere l’universale che si sostanzia nel personale che ha mosso i grandi scrittori di tutti i tempi».

 

 

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