In Marocco il tempo scorre diversamente. Scorre con la calma che caratterizza questo popolo che apparentemente si percepisce frenetico. Corrono di qua e di là i marocchini per propinarti tutto quello che hanno in mano. Se scoprono che sei un turista sei rovinato, potrai arrampicarti con un sicuro “na namasci turist” che significa che non sei un turista, ma varrà a poco. Lo dovrai pronunciare sfoggiando talmente tanta freddezza perché sembri realistico.
Nella maggior parte dei casi scopriranno l’inghippo e ti perseguiteranno comunque per farti acquistare quello che vendono e alla fine, non importa quanto sarai armato di buona volontà per eludere le loro intenzioni, ti vinceranno per inerzia. Ti arrenderai sfinito, come dopo un combattimento e ti ritroverai con l’aver acquistato oggetti futili. Attenzione però alle donne avvolte nel velo nero che, come un abito copre persino la caviglia, lasciando scoperti solo gli occhi. Sono le peggiori. Disegnano tatuaggi che durano il tempo della chiacchierata con loro e ti chiedono un compenso esagerato.
Tutto costa poco, ma bisogna contrattare anche riducendo di venti volte il prezzo di partenza. Gli odori del mercato principale in piazza Djema El Fna a Marrakech, il souq, sono forti e stuzzicano un prurito al naso le prime volte. Si insinuano nelle narici neanche fosse polvere inalata, ma spiegano i ritmi del tempo.
I marocchini a tavola si rilassano e pur non potendo concedersi un bicchiere di vino godono di pasti frugali estremamente saporiti. Le spezie hanno un ruolo determinante nei piatti e in generale ovunque. Si scorgeranno pile di polveri coloratissime un po’dappertutto.
Il tempo però merita un discorso a parte. È proprio da lì che muove la cultura marocchina. I palazzi, la Madrasa di Ben Youssef – la scuola coranica –, il Bahia Palace sono realizzati con la tecnica del mosaico e dell’intarsio. La pietra non è particolarmente pregiata, ma gli intarsi richiedono una maestria certosina ed elaborata ma soprattutto pazienza. Richiedono che ci si dimentichi del tempo, che ci si dedichi solo all’opera.
E questa arte che non ha nulla a che vedere con quella opulenta e sfarzosa delle chiese e dei palazzi occidentali denota lo spirito del popolo che invece è più intimo. La struttura architettonica rivela la natura intimistica dei marocchini. Non c’è ricchezza di materiali ma ricercatezza nella lavorazione, altro aspetto che connota un modo diverso di concepire il tempo.
Bisogna staccare la spina dalla fretta del vecchio continente per immergersi in una cultura apparentemente frenetica, ma al contrario fortemente dominata dalla serenità della preghiera che riecheggia nell’adhan dal minareto della Moschea – il richiamo cinque volte al giorno a recarsi nelle moschee a pregare o ovunque si possa purché rivolti verso La Mecca –. Nei paesi musulmani si respira una religiosità essenziale che riverbera in ogni atteggiamento. Il rispetto per la parola data vale una promessa e la mancata osservanza crea disagi e cattiva reputazione. E gli occhi dei bambini che chiedono qualcosa per mangiare ti possiede i pensieri.
Un quinto di quello che percepiscono i marocchini musulmani devono devolverlo in carità. Ecco spiegato il perché di tanto accattonaggio. E tra loro c’è dignità, deferenza in sguardi fugaci che si incrociano. Ma c’è anche dolcezza e profondità. I lineamenti dei marocchini non si discostano molto dagli italiani soprattutto meridionali. Potrà spesso capitare di imbattersi in fattezze tanto simili e vicine da aspettarsi che siano italiani davvero.
“Hai bisogno di una mano?” mi ha domandato mentre mi dimenavo per strada alla ricerca di una soluzione provvisoria. Io e mia cognata Cristina non potevamo prelevare in alcun modo e alla vigilia della partenza con gli acquisti da ultimare si profilava una tragedia. Quella domanda posta con tanta gentilezza e candore proveniente da un ragazzo tanto scuro da sembrare un indiano mi destabilizzò. Omar, il figlio del console marocchino in Italia, ci scortò per le vie della città risolvendo ogni problema. Cenammo in piazza con tajine, uno stufato di carne e verdure delizioso, e con la pastilla, un piatto agrodolce con carne di pollo, prugne e mandorle. E a tavola dimenticammo il fastidio provato poco prima.
Omar ci ha promesso di venire in Puglia. Gli abbiamo parlato del pasticciotto, del rustico e delle orecchiette. Ha vissuto i primi vent’anni in provincia di Ancona, ma la Puglia è ancora da esplorare. E mentre attendiamo il suo arrivo, ritorniamo, almeno con la mente a Marrakech, quel mix di spezie che puoi amare o odiare. Non c’è una via di mezzo. Quella terra splendida è un cocktail di sensazioni che ti stordiscono. Proverai gusto a tavola, piacere per strada quando ti verranno rivolti infiniti complimenti soprattutto se hai un ricciolo biondo, allegria quando ti aggiudicherai un bene al prezzo che hai proposto, soddisfazione quando la valigia riuscirà a chiudersi nonostante l’esplosione di acquisti e soprattutto nostalgia quando nel pomeriggio, lontana dal caldo sopportabile del Marocco, ricorderai che all’ombra di un Riad alle 17 la voce del richiamo alla preghiera avrebbe scandito una pausa dalla lettura in cui ti eri lasciata andare, la lettura di un libro di vita quotidiana di un popolo che, tra tante difficoltà, alza la testa e si fa strada.
Nel Riad, struttura adesso alberghiera, si rivive l’atmosfera di un tempo, quella secondo cui la famiglia deve vivere nelle sue mura senza aprirsi al mondo. Non è un caso che porte e finestre diano accesso solo al giardino interno senza affacciarsi sulla strada. Le mura che cingono la città vecchia, la Medina, sono povere ma rosse, come il colore della pietra che utilizzano per costruire ogni edificio. La città rossa, la città delle spezie, la città più bella del Marocco attende ogni viandante per una passeggiata tra colori, odori e suoni pronunciati in tutte le lingue del mondo.
Foto: Henrik Gadegaard (CC BY-ND 2.0), POTIER Jean-Louis (CC BY-ND 2.0), Marcos.Zion (CC BY-SA 2.0), gerald.uhr (CC BY-ND 2.0), SuperCar-RoadTrip.fr (CC BY 2.0), Hyunkook Lee (CC BY 2.0).