Mangiare etcnico, mi piace. Anzi, a noi italiani piace e pure parecchio. Fra i 18 e i 24 anni almeno i due terzi degli italiani ha mangiato etcnico o straniero. Anche in questo caso il Bel paese è divisa in due: al Nord ci sono più attività etniche ma solo il 20% è gestita da stranieri. Insomma, va detto: se poi qualcosa nell’etnico (quello del mangiare a basso costo) non funziona, mica possiamo dare la colpa agli stranieri. Vogliamo spendere poco? Cerchiamo di farlo col mangiare etnico, ma sappiamo di accettare qualche differenza di qualità. Anche se il 68% degli intervistati dice che i prodotti etnici non sono affidabili, di fatto il mangiare etnico è in crescita. Colpa della crisi e delle nostre tasche vuote? Intanto i dati certi, frutto di studi e ricerche, sono quelli che a Bari – patria del “sushi all’italiana” e cioè del pesce crudo – sono stati quelli messi sotto i riflettori dall’evento “Le mani nel piatto”. Dalle opinioni alla scienza il passo non è breve: nell’Aula Magna di Veterinaria dell’università di Bari i massimi esperti italiani del settore con la guida del direttore scientifico, il medico veterinario Michele Polignieri, hanno svelato le nuove insidie del mangiare etnico, senza pregiudizi ma basandosi solo su basi scientifiche.
In un tempo di fake news, ed esperti improvvisati, allora facciamo chiarezza, a tavola. Ma chi sono i nuovi “guru” tv e internet del food? “Andrebbe richiamata l’attenzione dell’Autorità Competente sul rischio che la manipolazione sia percepita, come una “ability”, un mero fatto ginnico, legato cioè alla mera maestria di questo o quello chef, ma svuotato delle peculiari e necessarie proprietà culturali legate al cibo, che il pubblico pagante richiede – ha fatto notare Polignieri – . L’aver delegato, da parte di una fetta dell’opinione pubblica, la garanzia sul concetto di qualità al favore o meno di una pattuglia male assortita di “recensori” affollanti il caleidoscopico orizzonte delle guide ai ristoranti e guida alle osterie in particolare, espone la salute pubblica lacune, se non sofferenze”.
Stasera cinese o kebab? In Italia il 50% dei piatti etnici è il kebab ed il 40% è di cucina cinese. E la sicurezza alimentare? Ed è qui che iniziano i mal di pancia, visto che l’80% dei ristoranti o take away etnici, come ha evidenziato il prof. Alberto Ritieni dell’università di Napoli, è gestito da italiani. Cibi nuovi, problemi nuovi che forse non siamo davvero preparati ad affrontare.
Tanto è variegata l’offerta etnica in Italia che, invece di un articolo, ci vorrebbe un trattato. E, allora, soffermiamoci sul “cavallo di Troia” diffuso quasi in ogni piazza. Sì, perché mentre le ondate razziste contro i migranti spesso si impennano, i kebab proliferano! Occhio perché è un kebab all’europea, fatto sullo spiedo verticale per comodità commerciale, che ci arriva congelato e che, per essere davvero sicuro, dovrebbe essere scongelato prima dell’utilizzo e seguendo tutte le regole.
L’Italia che cambia, anzi i gusti di noi italiani che cambiano, si vede anche nella gdo. Fra i prodotti più venduti ci sono quelli messicani e poi cous cous e sushi.
La risposta a tutto ciò? Godersi la buona tavola, compreso il cibo etcnico diffidando di chi lo offre a costi troppo bassi, e capire di più del mondo delle etichette. A Bari ha fatto chiarezza l’atteso intervento del notissimo Dario Dongo, esperto in Diritto alimentare founder di Great Italian Food Trade (G.I.F.T.). Fra le tante lacune, non legislative ma nell’applicazione delle leggi, Dongo si è soffermato sulla scarsa attenzione sugli allergeni. Le etichette varate dal governo Gentiloni? Secondo Dongo una presa in giro per le aziende, e per noi consumatori, visto che deliberatamente è stata interrotta la procedura a Bruxelles. Per saperne di più? Vi suggeriamo di consultare il suo ebook gratuito “1169 Pene” con notizie aggiornatissime su cibi, controlli e sanzioni.
Antonella Millarte