Sassi di Matera: c’erano topi, insetti, poi arrivò “la rivoluzione dell’acqua corrente”
Pasquale Doria | 6 September 2017

Spaccato senza ipocrisie della riqualificazione della città Lucana: «Ricordo condizioni terribili. Topi e insetti. E poi, i servizi igienici non c’erano. Ci eravamo davvero stancati. Ma poi arrivò il lavoro e anche una casa. È stata una liberazione. Questa è stata la nostra vera rivoluzione, poterci lavare tutte le volte che volevamo. Uno non la capisce la nostra realtà se non l’ha vissuta»

Sul tema del “vicinato” Lidia De Rita, a conclusione di due anni vissuti direttamente nei Sassi negli anni Cinquanta, non alimentò nessuna fuga in avanti. I suoi dati sociometrici raccolti scientificamente descrivono gli aspetti positivi di una certa capacità di condivisione soprattutto sotto il profilo umano, ma anche la cruda realtà di un mondo tragico. Gli aspetti del vicinato più positivi non avrebbero mai potuto compensare l’urgenza di superare condizioni di vita durissime. Gli abitanti degli antichi rioni trovarono una nuova casa nei quartieri realizzati a valle del risanamento dei rioni Sassi. Inizialmente i rapporti consueti di buon vicinato riuscirono a sopravvivere, in particolare, in quegli spazi di relazione progettati per l’incontro. Poi, è accadde altro. L’uragano consumistico fece irruzione anche nei borghi come La Martella, realtà voluta con forza da Adriano Olivetti, già alla fine degli anni Sessanta abbandonata quasi del tutto, per tornare a essere ripopolata molto tempo dopo. Tutto iniziò a cambiare rapidamente e il processo di aggregazione immaginato in un primo momento subì una brusca battuta di arresto. Rimane un dato significativo, su cui riflettere, ovvero l’indice di vecchiaia. A Spine Bianche, per esempio, è il più alto della città. Segno di attaccamento degli assegnatari all’alloggio sostituito con la vecchia abitazione nei Sassi. Nella vicina Piccianello, la parte costruita precedentemente a ridosso di via Nazionale, senza Piano regolatore, il turn over di residenti è stato ed è continuo. Basso risulta l’indice di vecchia, chi ha potuto è andato via. Il tutto è diviso solamente da una strada. Aiuta sicuramente a comprendere meglio la possibilità di mettersi all’ascolto. E’ significativo ed è ancora possibile farlo con gente dignitosa che non aveva scelto di nascere povera e che, però, ormai sta scomparendo per ragioni anagrafiche. «Tac..! Un colpo secco. Scattava in continuazione». Quando raccontava, la voce e la mimica diventavano una cosa sola. L’ho intervistato ormai tempo fa Antonio Tarasco. Ma ho capito. Allora, aveva 76 anni. Manovale in pensione, un tipo da non nascondere come stavano certi fatti. Alludeva alla tagliola per i topi che aveva sistemato nella sua angusta abitazione a rione Malve, nel Sasso Caveoso. «Avevamo una trappola particolare – spiegava – i ratti non potevano sfuggire da nessuna parte perché venivano comunque fatti fuori da una serie di chiodi sporgenti». Ma quello non costituiva l’unico male. «Ricordo condizioni terribili, voi non ce l’avreste fatta – ripeteva – e non mancavano una gran varietà d’insetti. Abbondavano quelli che si appallottolano su se stessi, oppure gli scarafaggi che in dialetto chiamiamo “cazzarole”. E poi, i servizi igienici non c’erano. Dagli orinali si buttava tutto per strada. Ci eravamo davvero stancati. Ma poi arrivò il lavoro e anche una casa: vera, nuova, a Villa Longo. È stata una liberazione. Questa è stata la nostra vera rivoluzione. L’acqua corrente in casa, poterci lavare tutte le volte che volevamo. Uno non la capisce la nostra realtà se non l’ha vissuta».
I segni sofferti dei colpi di piccone inferti alla calcarenite narrano, a chi vuole solo intendere e volere, di una vicenda scritta nelle viscere della terra quando nulla di diverso era possibile e, come monito, quelle tracce chiedono di non mitizzare la subalternità. Soprattutto oggi, prima che sia troppo tardi, cercare i più anziani, dialogare con loro nei quartieri degli anni Cinquanta e Sessanta di Matera è utile, anche a chi è giovane. Solo così diventa possibile distinguere la storia dal mito. C’era sofferenza. I più non hanno rimpianti, non c’è mediazione che tenga; quelle grotte nel loro vissuto rappresentano ancora un mondo che non deve tornare mai più. Lo sottolineano come augurio e scuotono mestamente il capo quando s’insiste sulle rappresentazioni di una realtà da cartolina, perchè il pittoresco per loro coincideva con una desolante miseria. E a tutti i visionari di oggi non possono fare a meno di affidare una raccomandazione: pensateci bene prima di descrivere Eden che non sono mai esistiti.
Di più, si potrebbe aggiungere, dobbiamo stare attenti a non crearne di nuovi. Il passato che fa ponte con il futuro meglio poggiarlo su basi solide, perché qui a furia di metterci una pietra sopra stiamo costruendo altri Sassi di Matera, immateriali, finti e di cartone più che mai.

 

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“Gli anni ruggenti” a Matera

Dal film Gli Anni Ruggenti di Luigi Zampa

La vicenda si svolge nel 1937. Omero Battifiori (Manfredi) è un assicuratore che crede nel fascismo. Per lavoro è inviato a Gioiavallata (luogo inesistente nella realtà), dove viene scambiato per un gerarca inviato da Roma. Mentre arriva il gerarca vero, Omero riparte, con una nuova consapevolezza sulla realtà del fascismo e sulla condizione del Sud. Gli esterni furono girati ai Sassi di Matera, a Ostuni e ad Alberobello. Il film è ispirato all’ispettore generale, un’opera teatrale satirica. Scritta nel 1836, è considerata uno dei capolavori dello scrittore russo Nikolaj Gogol’

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