Blockchain, augmented reality, intelligenza artificiale, Industria 4.0, Internet of Things, tecnologia weareable, sono solo alcune delle parole oggi ricorrenti nel panorama dell’innovazione tecnologica. Parole che affascinano. Perché molte sono le opportunità che aprono, come quella di un futuro dove l’uomo non sarà più costretto a lavorare perché al suo posto vi sarà la tecnologia, la stessa che semplificherà ogni aspetto della sua vita lasciando più tempo libero per sé stessi e quindi per la crescita personale. Parole che spaventano. Perché dall’altro lato della medaglia aleggiano i fantasmi della sostituzione tecnologica, che nel mondo del lavoro significa disoccupazione, e del controllo onnipervasivo della tecnologia che nutrendosi dei nostri dati manipola vite e consensi imbrigliandoci in un mondo virtuale lontano dall’essere libero. Se a quest’ultima miscela di paure si aggiunge l’elemento “Mezzogiorno” e le idiosincrasie tutte italiane di un paese che va a due velocità, si ottiene subito una sostanza esplosiva. Non resta che correre ai ripari, si salvi chi può.
Per nostra fortuna le innovazioni tecnologiche non hanno il potere di Medusa e chi sceglie di osservarle e studiarle non rimane pietrificato dal terrore. Anzi, molto più spesso l’incontro con la tecnologia libera il pensiero creativo, moltiplicando le opportunità e liberando competenze anche in settori che di tecnologico hanno apparentemente poco. La tecnologia è un artefatto umano, essa è τέχνη, téchne, concetto che nella Grecia classica indicava l’uso sapiente delle arti e delle tecniche, sempre facente capo a un’intelligenza umana capace di discernere nell’utilizzo degli strumenti a sua disposizione. Fosse quindi anche vero il pronostico per cui nel prossimo ventennio il 50% delle professioni sarà computerizzato, è altrettanto evidente che servirà sempre un essere umano a monte della tecnologia, almeno per programmarla e indirizzarla. Questa è stata anche la conclusione di impACT, il primo incontro dedicato a studiare l’impatto della tecnologia nel mondo culturale, creativo e artistico promosso dal Centro Studi Doc, afferente alla rete della cooperativa Doc Servizi, e svoltosi di recente a Napoli in occasione della manifestazione Futuro Remoto: ciò che non potrà essere trasformato in algoritmo sono le competenze creative e sociali. Un punto su cui concordano le previsioni di numerosi studiosi, tecnologi e non.
Ma governare il cambiamento significa sperimentare, entrare nel processo di innovazione tecnologica della filiera cui si appartiene, e, soprattutto, rischiare, anche imprenditorialmente, in idee che nella tecnologia vedono un investimento necessario e consapevole. Una missione impossibile, figuriamoci al Sud. Ancora una volta ci viene in soccorso il mondo della cooperazione. In occasione della Biennale della Cooperazione, svoltasi gli scorsi 14 e 15 novembre con prima tappa a Bari, si sono alternate sul palco numerose imprese cooperative del Mezzogiorno, tra cui mirabili esempi di innovazione tecnologica. Un esempio è il progetto Energia Solidale di Città Essenziale (Matera) che reinveste l’utile ottenuto dall’ottimizzazione dell’energia in servizi di welfare a favore della comunità. Un altro è la pugliese InnovAction che si occupa di compostaggio e grazie alle sue pratiche innovative e a basso costo, perché perfettamente naturali, riesce ad andare incontro anche alle esigenze dei piccoli comuni. O ancora il CRESM - Centro Ricerche Economiche e Sociali per il Meridione che punta ad aprire un FabLab e insegnare ai suoi “abitanti” l’approccio maieutico partecipativo dell’ottuagenario fondatore Lorenzo Barbera. E si potrebbe andare ancora avanti.
La persona al centro e non la tecnologia, poiché quest’ultima può sì apportare cambiamenti rivoluzionari al nostro modo di vivere, ma se guidata dai giusti principi è un utile strumento per rispondere alle esigenze dei soci e della comunità, a favore di un mondo più equo, più giusto e, soprattutto, più umano.