“Dev’essere stato un uomo saggio ad inventare la birra”, scriveva Platone, e il primo boccale si perde nella storia, perché la birra è una delle bevande più antiche del mondo. Pare anche che tra i Sumeri una parte della retribuzione dei lavoratori venisse corrisposta in birra, quasi in un moderno tentativo di welfare aziendale.
A Messina il sapore della birra è un pezzo dei ricordi di diverse generazioni. Birra Messina era uno dei marchi storici della produzione di birra in Sicilia, da tempo proprietà della Heineken e ormai prodotta altrove. Ma da qualche mese lo stabilimento di Larderia, 10 km a sud di Messina, è tornato a produrre una birra che ha il gusto del lavoro, del riscatto, della comunità che si stringe forte intorno a 15 persone che hanno deciso di recuperare il proprio lavoro mettendosi in gioco in cooperativa.
Mimmo Sorrenti è uno dei 15, ed è il presidente della cooperativa Birrificio Messina.
La nostra storia inizia nel 2006, quando Heineken ci comunica che avrebbe chiuso lo stabilimento entro l’anno. Abbiamo allungato i tempi, cercando un imprenditore che potesse subentrare, e l’abbiamo trovato nel 2007. Era il figlio di uno dei vecchi proprietari, noi lo conoscevamo, e abbiamo subito accettato. Nei primi 6 mesi del 2008 abbiamo lavorato, poi sono iniziati i problemi. Cassa integrazione, contratto di solidarietà e poi di nuovo cassa integrazione, finché non è arrivata la lettera di licenziamento e il concordato fallimentare. Fino ad allora noi avevamo sempre cercato di aiutare la proprietà, per esempio girando il nostro Tfr in azienda. Abbiamo ancora una volta occupato e presidiato, ma nessun imprenditore si avvicinava. Così abbiamo deciso di fare da noi, e costituirci in cooperativa. Ci siamo incontrati tante volte, tutti insieme, eravamo 41, e infine in 15 abbiamo deciso di andare avanti. Abbiamo cercato i capannoni, la Fondazione di Comunità ci ha aiutato per il piano economico finanziario, che all’inizio era un po’ più basso. Poi…noi siamo del mestiere, andando un po’ in giro ci siamo resi conto che non sarebbe bastata, e bisognava avere una produzione più ampia. Ci hanno sostenuto le banche e gli strumenti della cooperazione. Noi, di nostro, abbiamo investito tutto il Tfr e riscattato la mobilità. Così abbiamo comprato le macchine, tutte nuove, abbiamo smaltito l’amianto che c’era, rifatto i tetti, le facciate, la pavimentazione, gli uffici, due capannoni, uno per la produzione e l’altro per lo stoccaggio. Dopo un anno e mezzo, ora possiamo davvero dire che stiamo partendo con la vela ben gonfia. Siamo sul mercato, abbiamo iniziato la vendita.
Siete passati dall’essere dei bravi lavoratori ad essere tutti insieme imprenditori in cooperativa, come è stato questo passaggio?
Su questo non abbiamo avuto grossi problemi. Eravamo abituati a gestire, facevamo tutto noi, eravamo già “collaudati”. Con Heineken per 5 anni siamo stati il primo stabilimento in Europa per la qualità. Ma purtroppo in una multinazionale contano altri numeri: qui in Sicilia avevano potuto realizzare solo un piccolo stabilimento, che non avrebbe mai potuto fare i numeri di altri stabilimenti ben più grandi. Hanno guardato ai numeri, e non alle persone.
Ma quando è toccato a noi, eravamo preparati a gestire lo stabilimento. Certo, ancora oggi ogni tanto capita che si dica: “Come facevamo in Heineken…”, ma poi ci diciamo subito che questa è un’altra storia, nuova e nostra.
La Birra Messina è un pezzo di storia in Sicilia…
Si, lo è. La Birra Messina portava il nome della città, e questo la dice tutta. Ora però il marchio è di Heineken, e non lo cede. Così noi abbiamo fatto 3 etichette. La prima è la Birra dello Stretto, dedicata a questa comunità, che ci è stata tanto vicina, e questa birra vuole essere metaforicamente un ponte, che in questa storia unisce le due sponde. Poi, la Cruda 15 e la DOC 15, dedicata a noi stessi. Noi ci consideriamo dei maestri birrai, e abbiamo scelto di non lasciare il territorio, perché questa città stava morendo. Abbiamo voluto portare qui, nel nostro piccolo, un po’ di economia. Qui intorno non c’era nulla, ora ci sono altri capannoni. È questa l’economia che vogliamo, quella che parte dalle persone.
La comunità vi è stata vicina, diceva…
Si. Noi eravamo al presidio, e la gente veniva a trovarci tutti i giorni, ci diceva “non mollate”, ci portavano i biscotti, i pannolini, perché qualcuno aveva i bambini piccoli. E poi, dopo, quando è iniziato il percorso cooperativo, questa comunità aspettava la nostra birra, ci chiedevano quando saremmo ripartiti e quando avrebbero potuto comprarla.
La Fondazione di Comunità ci ha aiutati molto, per preparare il piano economico finanziario, per esempio, e continua a farlo. In tempi non sospetti, aveva creato un fondo di raccolta. Un grosso imprenditore messinese, Salvatore Ruggeri, che vive e lavora a Milano ma ha sempre conservato la Sicilia nel cuore, ci ha sostenuti fino a diventare socio sovventore, con la sua azienda di lavorazione di ceramiche.
Noi, qui, vogliamo essere una spinta per il territorio, e per i giovani. Vogliamo dire che bisogna provare a realizzare i propri sogni, e che ci si può costruire un lavoro che piace. A noi piace fare la birra.