Domenico Modugno diceva che per avere successo occorrevano tre cose: fortuna, fortuna e… fortuna! Anche Marco Vinicio Carnicelli sottolinea l’importanza di questa variabile, pur dal suo punto di vista.
Nasce nel ’61 a Caltanissetta in una famiglia in cui si respirava già arte. È infatti figlio del pittore e scultore Oscar, artista di fama mondiale. A differenza di molti altri musicisti non incontra il suo strumento da bambino: la sua prima la chitarra glie la regala suo padre a 13 anni, ed è subito amore. È siciliano, ma di una parte della Sicilia che lui stesso descrive come votata al non cambiamento. Infatti, benché mostri fin da subito un grandissimo talento musicale, si scontra con un ambiente formativo che anziché incentivarlo, il talento, “tende a trattenerlo, a mortificarlo, a livellare tutti e tutto verso il basso” mi dice. Continua comunque i suoi studi musicali con grande passione e determinazione, ma appena può mettere il naso fuori da quella Sicilia, scappa. Entra così in scena nella sua vita quello che lui descrive come fattore chiave di una carriera artistica, potremmo chiamarla la fortuna dei pronti, positivi e perseveranti.
“Se sei positivo, se perseveri, se ti impegni sempre come se dovessi prepararti per il concerto della tua vita, anche se quel concerto in quel momento non lo devi fare, prima o poi la fortuna ti aiuta. Ce la si crea, la fortuna, studiando per essere pronti. Ci provi 100 volte e per 99 non va bene, ma poi quella ennesima vale per cento! Magari ci vuole un incontro con una persona generosa che crede in te e ti dà un’occasione.” e così è stato.
Si trasferisce a Bari e si diploma al Conservatorio “N. Piccinni” appena 22enne, con tre anni di anticipo per meriti artistici speciali, sotto la guida della chitarrista Linda Calsolaro (già pupilla del grande maestro Andrés Segovia) e viene assunto come docente di chitarra dal Conservatorio di Monopoli, incaricato dal suo mentore M° Fernando Sarno, compositore e direttore del Conservatorio di Bari.
Di concerti importanti e recital ne farà tanti sia in Italia (Roma, Venezia, Bologna, Palermo, Napoli, Milano, ecc) che in tutto il mondo (San Francisco, Città del Messico, Monaco di Baviera, Amburgo, Colonia, Escorial de Madrid, Sarajevo, per citarne solo alcuni), vincendo premi importanti e collezionando riconoscimenti eccellenti e recensioni entusiastiche.
Colpisce l’importanza che attribuisce al rapporto maestro-allievo, un vero pilastro, ed infatti parla dei suoi con particolare passione e riconoscenza. Fra i riferimenti più importanti per la sua formazione, indica in primis il grande Segovia (“sono un segoviano avendo studiato con una delle sue allieve predilette”), il chitarrista venezuelano Alirio Diaz (al quale è dedicato il concerto del suo ritorno nella sua Caltanissetta, il 6 aprile presso il Centro Abate, Sala Auditorium) ed in special modo il Maestro e Direttore d’orchestra Sergiu Celibidache, sul quale si spertica in particolari lodi e del quale descrive la straordinaria genialità, l’unicità artistica e la grandezza umana. Quest’uomo avrà per lui una importanza speciale in un momento difficilissimo della sua vita.
Segue il maestro rumeno nei suoi corsi di Direzione d’Orchestra e Fenomenologia della Musica a Monaco di Baviera ed è proprio qui che Marco tornerà qualche anno dopo per approfondire quegli stessi studi dopo un gravissimo incidente stradale nel quale è stato coinvolto proprio in Sicilia, quando aveva 31 anni e che ha rischiato seriamente di compromettere la sua carriera. Nell’incidente, infatti, quasi perse l’uso di una mano, oltre a riportare alcune fratture agli arti inferiori.
Un evento di questo genere è drammatico per chiunque, qualunque professione faccia, ma per un chitarrista ritrovarsi senza quasi l’uso di una mano, deve essere stato qualcosa che non si può descrivere facilmente. Infatti non ama parlarne molto. Quel po’ che dice al riguardo, però, colpisce profondamente per la semplicità e l’umanità che esprimono.
Gli chiedo - per sincero interesse mal celando una personale atavica paura - come si faccia a non farsi sopraffare dalla paura di non poter fare più il proprio lavoro, specialmente quando lo si ama così tanto
“Ho pensato che se non posso fare più questo, farò dell’altro. Si è spostata l’attenzione. È stato come fare un bagno nell’acqua pulita, ci è voluta umiltà. E così sono andato in Germania ad approfondire gli studi di Direzione d’Orchestra e Fenomenologia della Musica ed ho iniziato a dedicarmi a quello. Poi, un po’ alla volta, le cose sono andate meglio, ed ho recuperato l’uso della mano completamente. È stato difficile, ci è voluto tempo, ma ce l’ho fatta.”
Una storia personale di grande determinazione e coraggio che in pochi posso raccontare. Ci sono voluti quasi 20 anni per tornare a suonare in giro per il mondo, ma alla fine ce l’ha fatta, grazie ad una perseveranza fuori dal comune. “Il successo può arrivare, ma alla stessa maniera se ne può andare via per un evento della vita, per un incidente, o per l’invidia di qualcuno che inizia a remarti contro, pensa a cosa è successo a Mia Martini per esempio, e se sei debole, se non hai una struttura che ti copre puoi esserne travolto. Il punto è far coincidere la vita con ciò che fai e non con ciò che sei. Non devi farlo coincidere con te e con la tua identità. Se vivi così sei debole, sei in pericolo, perché se ti tolgono ciò che fai, ti tolgono anche la tua vita. Non devi essere ciò che fai.
“Io suono la chitarra classica perché mi piace farlo, per me. Non ci si arricchisce, ma ogni volta che posso farlo mi porto a casa una fettina di felicità.” Marco Vinicio Carnicelli è titolare dal 1984 della cattedra di chitarra al Conservatorio “N. Piccinni” di Bari nel Corso Ordinario ed è docente di “Pratica del Repertorio per chitarra e orchestra” nei Corsi Accademici di Secondo Livello. Nel 2012 ha inciso un CD. Tiene tutt’ora recital e concerti con importanti Orchestre in tutto il mondo, con amore per la musica e tenacia.