Giustizia riparativa, quando gli opposti si incontrano
«In questa forma di giustizia, reo e vittima si incontrano nella stanza di mediazione. Qui avviene l’incontro di due umanità». Di recente se ne è parlato a Bari
Alessandro Schino | 15 May 2019

Riparare è un atto profondamente umano capace di cambiare il corso delle storie, mettere in circolo energie vitali che sembravano irrimediabilmente smarrite, dare un senso al futuro, spiegare i suoi benefici oltre la vita dei singoli individui, su un’intera comunità”. Anna Coppola De Vanna, presidente della Cooperativa Sociale Onlus C.R.I.S.I. così descrive il senso della Giustizia Riparativa, nel suo libro Riparazioni. Riparare il dolore e i legami sociali: la sfida della giustizia ripartiva (ed. Radici Future).

Le chiediamo di descriverci e definire, sulla base della sua esperienza, i passaggi fondamentali del percorso di mediazione penale: «In questa forma di giustizia riparativa reo e vittima, dopo gli incontri individuali finalizzati alla raccolta del consenso e all’accompagnamento all’incontro congiunto, qualora sussistano tutte le condizioni favorevoli e le garanzie per entrambe le parti, si incontrano nella stanza di mediazione, luogo neutro e protetto. Qui avviene l’incontro di due umanità».

Come ci spiega Ilaria De Vanna, mediatrice e relatrice di riparazioni: «Non sempre si arriva all’incontro congiunto, ma quando ci si arriva, questo ha un fortissimo effetto trasformativo. Fino a quel momento le vite di vittima e reo rimangono ferme, il loro tempo si è fermato al giorno, al momento, all’istante del reato commesso. La mediazione ha l’effetto di riuscire a far riprogettare il futuro. Nella stanza i ruoli, le parti, si confondono, si mescolano, si intrecciano»

«La mediazione è un percorso di assunzione di responsabilità nei confronti di se stessi e dell’altro. Ed è sempre un percorso volontario, dal consenso alla decisione di cambiare e di riparare. Il reo ha la responsabilità di ascoltare la narrazione dell’altro. Mettersi “sull’altra sedia” è il vero sconto di pena. Anche per la vittima c’è la stessa responsabilità di ascoltare la narrazione dell’altro, di sedersi idealmente sulla sua sedia. Di non “limitarsi” all’esercizio del perdono, perché il perdono non trasforma, ma è solo metterci una pietra sopra. Sostando nelle vite degli altri si può scoprire di avere delle cose in comune con loro, anche molte di più di quelle che ci dividono»

«C’è una riflessione di Massimo Recalcati che bene esprime questo concetto: “Noi siamo sempre responsabili di quello che facciamo di ciò che gli altri hanno fatto di noi. Questo è un punto importante. La nostra responsabilità consiste nel fare qualcosa di quello che gli altri ci hanno fatto. Qui emerge una responsabilità irriducibile”»

«La narrazione e l’ascolto, accompagnati dalle capacità dei mediatori esperti, rendono possibile l’incontro con l’altro e il reciproco riconoscimento, in quanto persone, ciascuno con la propria storia e le proprie ferite, diversamente simili. Come ha ben detto Ricoeur: “Il riconoscimento rende uguale ciò che l’offesa ha reso ineguale”»

Di recente se ne è parlato a Bari in “Riparazioni”, una giornata di formazione multidisciplinare giunta alla sua 4^ edizione, organizzata dalla Coop. C.R.I.S.I. e che ha avuto come relatori magistrati, avvocati, giornalisti, educatori, assistenti sociali, mediatori e insegnanti. La giustizia riparativa in generale e più precisamente la mediazione penale, rappresentano una grande sfida per i nostri tempi, sempre più indirizzati nella direzione del giustizialismo e della vendetta (tant’è che si parla di “age of revenge” per descrivere il clima contemporaneo), spesso fomentati, perseguiti ed inseguiti per meri fini propagandistici e di rapido e facile consenso politico ed elettorale. La Giustizia Riparativa (il termine originale inglese “Restorative Justice”, anche traducibile in giustizia ristorativa, dovrebbe essere stato coniato nel 1977 dal criminologo A. Eglash) è un nuovo modo di pensare la giustizia penale, ancorché non alternativo agli attuali, ma complementare ad sessi. Nasce dalla prassi, non è creata a tavolino, ma è nata spontaneamente in diverse comunità e ambiti antropologici e sociali, soprattutto nei paesi di Common Low. Forme arcaiche si trovano già nei nativi americani con i Sentencing Circle, nelle comunità Maori, Eschimesi, fra gli Aborigeni, in alcune tribù africane ed in medio oriente, a dimostrazione che forse, è sempre esistita.

La nascita della Giustizia Riparativa moderna viene fatta risalire al c.d. esperimento di Kilchener, una cittadina dell’Ontario ai confini del Canada, dove agli inizi degli anni ’70 per un caso di danneggiamenti ad alcune abitazioni private da parte di due minori, fu proposto un programma di probation che prevedeva una serie di incontri tra i due rei e le famiglie danneggiate, accompagnato da un concreto impegno risarcitorio attraverso il lavoro. Uno degli strumenti della Giustizia Riparativa è la Mediazione Penale, forma più conosciuta in Europa e in Italia.

Si può dire che la Giustizia Riparativa rappresenti la terza via della giustizia penale, un modo nuovo e diverso di pensare a quest’ultima, in cui si passa dalla diade reato/pena alla centralità del conflitto/riparazione, dove per conflitto non si intende una mera violazione di leggi, ma una violazione di persone e di relazioni; una terza via che però non esclude gli altri modelli, ma li integra. Per altri modelli si intendono la Giustizia Retributiva nella quale la pena inflitta è proporzionata al reato commesso, ma si punisce solo perché è giusto, non perché è utile e in cui la pena guarda solo al passato e non ha scopo per il futuro; il secondo è la più recente c.d. Giustizia Rieducativa tipica dei moderni Welfare State, sancita anche dall’Art. 27 della nostra Costituzione, in cui si intende ridurre il problema del crimine correggendo il comportamento del reo.

La necessità di una terza via nasce dall’osservazione del sostanziale fallimento delle prime due. Perché se la vecchia e superata idea retributiva basata sulla centralità della pena e del suo inasprimento non porta vantaggi né in termini di diminuzione della recidiva di reato, né di prevenzione della commissione degli stessi, la più moderna idea della funzione rieducativa della pena non ha portato ai risultati sperati, anzi ha comportato, come ampiamente osservato già negli anni ’70, a un aumento della criminalità e agli alti costi di un sistema di esecuzione penale incentrato sulle pene individualizzate. Ha iniziato così a farsi strada un nuovo modello, quello Riparativo, in cui l’attenzione viene posta alla riparazione del danno causato alla vittima con la commissione di un reato. L’idea è di neutralizzare il danno stesso attraverso una azione riparatrice del reo. Quindi il rapporto fra vittima e reo diventa centrale in questo modello di giustizia in cui il reato non viene più considerato come commesso nei confronti dello Stato, ma come una offesa alla persona ed è per questo motivo che si lascia alle parti la possibilità di trovare un accordo soddisfacente per entrambe e che dia la possibilità all’autore di riparare il danno causato, ricostituire il legame sociale lacerato dal conflitto e reintegrarsi nella società.

Risultati incoraggianti sono stati conseguiti da alcune forme di Giustizia Riparativa, come l’istituto della messa alla prova minorile (e successiva estensione ai maggiorenni) che ha dimostrato un abbassamento pressoché totale della recidiva di reato. È importante evidenziare anche l’importanza che nelle forme di G.R. si dà alla vittima, da sempre messa al margine del processo penale e che grazie alla Mediazione Penale riacquista centralità. Grande valenza catartica sociale hanno avuto alcune importanti esperienze di G.R. comunitaria, come la “Commissione per la Verità e Riconciliazione” voluta da Nelson Mandela in Sud Africa dopo l’Apartheid e il “Dialogo fra ex terroristi e vittime” raccontato nel “Libro dell’incontro” (ed. Il Saggiatore), in cui si è realizzata una riconciliazione sociale molto utile alla diminuzione della conflittualità sociale moderna. Fra tutte le citazioni fatte in Riparazioni e per l’importanza che ascolto, narrazione e scelta delle parole hanno nella mediazione penale, ce ne portiamo a casa una su tutte: "Date parole al dolore: il dolore che non parla bisbiglia al cuore sovraccarico e gli ordina di spezzarsi". (Macbeth, W. Shakespeare)

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