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Federico Pirro
Fucilati due volte
Federico Pirro | 14 June 2019

Ripubblichiamo un articolo apparso sul nostro magazine RFMag nel 2016 e  firmato dal collega Federico Pirro. Giornalista Rai, sindacalista, scrittore, Pirro è morto il 14 giugno 2019 dopo una lunga malattia. Il suo ultimo libro, La mossa del teschio, è edito da Radici Future. A noi della redazione piace ricordarlo  con questo articolo dal quale emerge tutta la sua sensibilità e attenzione verso gli ultimi

Gianni Svaldi, direttore responsabile RFMag

 

Se penso al Senato che a maggioranza ha bocciato il decreto sulla riabilitazione dei fucilati della Grande Guerra, approvata all'unanimità dalla Camera, non riesco a sentirmi italiano, anzi ne provo vergogna. Andrebbero riaperte le pagine di quei processi istruiti dai tribunali militari di guerra per riscoprire le carneficine inflitte a povera gente che non dichiarò alcuna guerra, ma che fu sola a pagare il prezzo più alto.

Leggiamo in sintesi alcune di quelle sentenze raccolte e pubblicate dal giornalista scrittore Enzo Forcella e dallo storico Alberto Monticone nel libro “Plotone di esecuzione. I processi della Prima Guerra Mondiale” pubblicato nel 1998 dagli Editori Laterza.

Sei fucilazioni - Il 29 novembre 1917 a Luvigliano furono fucilati 6 soldati: L.B.G. della provincia di Palermo,19 anni, contadino, incensurato, celibe; C.U. della provincia di Caserta, 27 anni, calzolaio, ammogliato con prole, analfabeta, censurato; D.M.A. della provincia di Cosenza, 25 anni, contadino, celibe, analfabeta, incensurato; B.F. della provincia di Palermo, 19 anni, contadino, celibe, analfabeta, incensurato; O.M. della provincia di Alessandria, 20 anni, contadino, celibe, incensurato. Poveri cristi, cinque su sei meridionali, contadini, per lo più analfabeti.

Nella sentenza si legge che appartenevano ad un reparto designato a resistere ad ogni costo al nemico per coprire la ritirata, ma “in faccia al nemico si sbandavano, nonostante fosse noto l'ordine della resistenza ad oltranza, oltrepassavano il Tagliamento per il ponte di Pinzano, senza le armi che avevano abbandonato lungo il cammino”. “Gli accusati stessi – argomenta il Tribunale – nel loro interrogatorio hanno confessato di essersi ritirati, non perché avessero ricevuto un ordine ma solo perché si diceva che il nemico era vicinissimo, e perché anzi vedevano che era a poca distanza e quasi a contatto. Quindi è evidente la responsabilità di tutti i giudicabili, in quanto essi si sbandarono, abbandonando il posto di combattimento e la loro compagnia, e non facendo la possibile difesa, abbandonando persino le armi”.

La vita per un dito – Il 20 settembre del 1915 viene eseguita la condanna a morte, con fucilazione al petto, di un alpino di 23 anni, D.B.A., colpevole di automutilazione “perché allo scopo di procurarsi infermità da renderlo incapace di proseguire nel militare servizio e sottrarsi così per codardia al pericolo della guerra, il 19 giugno 1915 al passo delle Cirelle, dove trovavasi di servizio in faccia al nemico, si procurava lesioni all'anulare e medio della mano destra ed il 3 del successivo agosto, mantenendo lo stesso proposito, mentre trovavasi in servizio di vedetta in località Costabella in faccia al nemico, si esplodeva un colpo del proprio fucile carico a pallottola, contro l'indice della stessa mano, determinando una grave ferita alla terza falange; lesioni che lo misero in condizioni di non poter prestare col reparto alcun servizio di guerra e di fare, occorrendo, la possibile difesa”.

I caratteri odiosi e disumani della giustizia sommaria anche nell'esecuzione delle sentenze. Su incarico del Comando supremo, il generale Andrea Graziani svolgeva funzioni di vigilanza nelle retrovie. Si muoveva su una camionetta che occupava con alcuni carabinieri per le fucilazioni sul posto. Una sorta di squadra della morte con il compito di eliminare i condannati senza porre tempo fra sentenza e sua esecuzione. Sempre Graziani fu protagonista di un episodio emblematico della barbarie di quei tempi e di quegli uomini fra le trincee. Nell'eseguire le sue continue ispezioni, notò che un soldato, peraltro non giovanissimo, nel salutarlo non si tolse dalla bocca la pipa: tanto bastò perché venisse immediatamente fucilato.

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