In italiano potremmo definirli “investitori in capitale di rischio” ma nel panorama delle startup sono più noti come “business angel” perché sono come degli angeli custodi per gli startupper. Per fare questo lavoro occorre selezionare con cura la startup su cui investire e supportarla non solo a livello finanziario, ma anche condividendo esperienza e network. Diversamente dai classici fondi di investimento, il business angel investe risorse proprie e spesso la sua scelta è “di pancia”, la sua motivazione è dettata da una sorta di innamoramento nei confronti dell’idea portata avanti dalla startup che ha scelto.
Per questo i business angel sono come angeli custodi. Magari fanno pure miracoli, ma in ambito rigorosamente business.
Sebbene nella Bibbia non si faccia mai riferimento a una specifica identità sessuale degli angeli, nelle Scritture il linguaggio per descriverli è sempre declinato al maschile. Fra angeologia e mondo delle startup ci sono purtroppo delle analogie. Perfino in un settore innovativo come il mondo delle startup le donne “business angel” sono poche e fanno fatica a emergere: il volume medio di capitale di investimento e di leadership in mano femminile in campo startup è di appena il 9 per cento. Tra le startup americane solo il 33 per cento dei fondatori e degli shareholders è donna.
Lo afferma la ricerca “The Gap Table”, divulgata a ottobre 2018 dall’associazione Angels, che ogni anno fa il punto della situazione nel panorama startup della Silicon Valley.
Nonostante le startup al femminile ottengano migliori risultati sul campo, gli investimenti restano minori rispetto a quelli destinati a startup capitanate da uomini: resiste il pregiudizio secondo il quale le startup di successo sono guidate da uomini, confermato anche dal fatto che nelle startup sono poche le donne che occupano posizioni chiave.
Fra le ragioni di questo gap, la ricerca evidenzia innanzitutto la bassa percentuale di donne impiegate con un ruolo manageriale o di ricerca e sviluppo, da cui deriva la difficoltà di raggiungere guadagni tali da consentire un reinvestimento in nuovi business e startup.
Inoltre le startup fondate o gestite da donne ricevono una valutazione aziendale più bassa, sono percepite di minor valore rispetto a quelle maschili e sono costrette a vendere più quote sul mercato per continuare a crescere, quote spesso acquistate da investitori uomini. Il basso numero delle investitrici (business angels) determina spesso una scarsità di capitali per le startup fondate dalle donne.
La situazione europea non è dissimile da quella della Silicon Valley, ma per una volta i dati italiani sono lievemente più confortanti: il nostro paese è al primo posto in Europa per business angel donne, che rappresentano l'11,5% degli investitori. Al secondo posto si piazza la Francia con una percentuale dell’11 per cento, seguita dal Regno Unito e Spagna, ciascuno con una percentuale del 9 per cento del totale di business angel.
E’ quanto emerge dall’analisi di Italian Angels for Growth, il principale network di business angel italiano, presentata durante la riunione annuale che si è svolta lo scorso 18 ottobre. All’interno del network di IAG, che nel 2017 era uno dei 5 maggiori investitori di venture capital in Italia (in poco più di 10 anni i suoi soci hanno investito 22 milioni di euro, ricavandone 80 milioni), ci sono 26 donne su 163 soci attivi. Il 19 per cento delle startup nelle quali i soci di IAG hanno investito sono fondate o co-fondate da donne.
Secondo il rapporto 2016 dello European Startup Monitor, le donne fondatrici di startup in Italia sarebbero il 22 per cento. A livello europeo la percentuale più alta si registra nel Regno Unito, dove le startup sono state fondate da donne nel 33,3 dei casi. Al terzo posto troviamo Israele con il 18,8 per cento, al quarto la Francia con il 17,1 per cento e al quinto la Spagna con il 13,9 per cento.
Il dato italiano sembra lievemente migliore rispetto a quello di altri paesi, ma in generale la situazione è comunque di netto svantaggio per le donne. La Relazione annuale presentata al Parlamento italiano nel 2017 dall’ex ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, sullo Startup Act italiano, affermava che le startup italiane innovative erano aumentate del 74 per cento in due anni e che il 95 per cento aveva spiccato il volo. Ma colpiva anche il dato sulla la bassa presenza delle donne in questo panorama di crescita generalizzata: secondo la Relazione, il 79,6 per cento dei soci delle startup sono uomini e il 20,4 per cento sono donne. Le donne possiedono la maggioranza delle quote in appena 15 per cento dei casi e il valore medio delle partecipazioni di donne al capitale di startup è del 17,1 per cento, contro l’82,9 per cento degli uomini.
L’Unione europea ha provato a colmare questo divario lanciando WA4E, una iniziativa che coinvolge Belgio, Francia, Italia, Portogallo, Spagna e Regno Unito ed è realizzata in collaborazione con le più note associazioni di Business Angel locali come la BAE (Business Angel Europe) e la IBAN (Italian Business Angels Network Association). WA4E mira a incrementare il numero di donne Business Angel del 10 per cento tra il 2017 e il 2018, aumentando gli investimenti in campo startup di due milioni e mezzo. Il programma si rivolge a donne che già operano nel mondo business e che, grazie al capitale posseduto o in virtù dell’esperienza maturata come fondatrice o amministratore delegato di una startup, vogliano diventare business angel. Le aspiranti business angel ricevono consigli e informazioni su come, dove, quanto investire, partecipano a business class in cui fanno tesoro dell’esperienza di altre business women che fungono da mentore e accedono a sessioni di formazione su normativa ed economia aziendale.
Fra meteorologia e sanità, ecco le tre startup femminili che faranno strada
A marzo 2018 l’organizzazione SheTech Italy ha selezionato le 10 Female Founders, scelte in base alla varietà di background e di campo di azione.
Noi di Radici Future Magazine siamo stati colpiti da tre di queste startup in particolare. WaterView, fondata da Paola Allamanno, opera in un campo strategico: clima e meteorologia. Sviluppa servizi per la raccolta e l’analisi di Big Data nel campo dell’idro-meteorologia, usati per rilevare e monitorare eventi atmosferici. I dati vengono generati grazie all’utilizzo di infrastrutture esistenti. La startup è stata fondata nel 2015 come società spin-off del Politecnico di Torino ed è attualmente ospitata da I3P, Incubatore delle imprese innovative del Politecnico di Torino.
Betta Maggio si è invece concentrata sul settore sanitario. La sua esperienza personale ha influito su questa scelta: dopo aver perso due persone a lei care a causa di infezioni contratte in ospedale, ha deciso di puntare su un’invenzione nata sempre in famiglia, nel laboratorio di suo zio, scienziato americano esperto in biotecnologie. Così ha fondato U-earth, startup biotech focalizzata sulla cattura e distruzione dei contaminanti dell’aria
che vengono fagocitati da batteri in speciali bio-reattori purifica aria.
Parte da una esperienza familiare in ambito sanitario anche l’idea Valentina Musarò che ha fondato Medyx nell’aprile 2017 con l’obiettivo di prendersi cura dei pazienti nella fase di post-ricovero, ossia una volta che vengono dimessi da ospedali e cliniche private. Tramite alert inviati sul numero del paziente tramite sms, chiamata vocale o notifica con WhatsApp, ai pazienti vengono ricordate le terapie farmacologiche e i controlli medici da effettuare per evitare che errori o dimenticanze possano vanificare le cure ricevute in ospedale.