Ha viaggiato per 39 giorni nel deserto, in bus, sui barconi. E alcuni dei suoi compagni di viaggio sono morti di fame e stenti. Poi è arrivato in Italia e ha fatto carriera: saldatore di oro, lavapiatti, oggi è capochef in un ristorante di Bari. “Ho vent’anni ma me ne sento molti di più”
Rahian Shamsuddin ha 20 anni ed è di Feni, una città nel sud-est del Bangladesh. A 16 anni è arrivato da solo in Italia, attraversando anche a piedi sette Paesi, tre continenti e pagando novemila euro a quelli che chiama “mafiosi”. Ha viaggiato per 39 giorni nel deserto, in bus, sui barconi. Ha valicato i confini con l’India, in fila con altre decine di persone, di cui molti della sua età. Ne ha visti morire due o tre davanti a lui, crollati dopo settimane senza cibo né acqua. Ha oltrepassato il Pakistan e il deserto saudita per raggiungere Grecia, Turchia e Libia. Cercando tutte le strade per non essere scoperti. Fino all’approdo disperato a Lampedusa. Fino al coronamento di un sogno, quello di diventare chef. A Bari. Partendo dal niente e lavorando tantissimo.
Quattro anni fa il suo papà lo ha messo in salvo dalla guerra civile, costretto a chiedere proprio agli aguzzini di mandare suo figlio adolescente “in qualunque posto dell’Europa”. Come una staffetta, si sono alternati autisti di bus, capigruppo, scafisti. Tutti senza nome. E’ arrivato a Bari, sporco e stanco, ed è stato assegnato a Casa Shalom, una comunità per minori da 12 posti letto nata in due appartamenti confiscati alla criminalità organizzata. Lì ha imparato la sua quinta lingua, l’italiano, ma parla correttamente bengalese, indiano, inglese e arabo. Ha cominciato a cucinare facendo dei corsi che gli sono valsi un attestato in due anni. Si è esercitato facendo da mangiare alla Festa dei Popoli che si svolge a Bari ogni anno, a cui partecipano almeno 150 persone, e ha utilizzato come cavie gli altri ospiti della comunità. Rahian ora è capochef in un ristorante a Japigia. Cucina gnocchi all’astice, spaghetti con le vongole, i suoi preferiti, e fritture di pesce. Sa fare persino a mano la pasta fresca. Ha otto aiutanti, anche italiani e più grandi di lui. Un contratto sicuro e pagato quanto basta per mandare metà dello stipendio ai suoi. “Mi hanno dato la vita, ora tocca a me darla a loro”, racconta. Quando è diventato maggiorenne, Rahian ha dovuto lasciare il suo posto alla comunità. E’ partito per la Toscana, fermandosi ad Arezzo, uno dei luoghi che gli sembravano giusti per tentare la fortuna. Ha trovato lavoro prima come saldatore di oro e argento, prendendo un altro attestato. “Vedete? – dice orgoglioso indicando il suo bracciale d’argento a catena – questo l’ho saldato io”. Poi è riuscito finalmente a farsi assumere come lavapiatti in un ristorante. Ha fatto carriera in 21 mesi, diventando chef. Poi, un mese fa, è sceso a Bari a trovare la comunità, gli operatori, gli assistenti sociali. La sua famiglia. Rahian ad Arezzo ha il fratello e qualche altro parente ma gli occhi gli diventano lucidi solo quando parla di Casa Shalom. In quei giorni un amico gli ha fatto conoscere la proprietaria del ristorante barese. E’ piaciuto subito, Rahian. Al punto da sentirsi proporre un contratto sicuro e l’agognato titolo di capochef. Ha lasciato la Toscana senza neppure tornare a prendere i vestiti. Bari è la sua casa. “Conosco bene tutti i bengalesi che sono qui, almeno cinquecento – dice contento – così mi sento al sicuro. E poi ci sono loro”, aggiunge indicando sorridente la responsabile di Casa Shalom, Sabrina Signorile. Il giovane dalla pelle scura e il sorriso bianchissimo indossa una felpa di quelle alla moda, jeans e scarpe da ginnastica. Ha i capelli a spazzola nero corvino e gli occhi a mandorla, dolci, consumati e vissuti. Ma ancora umidi di lacrime. Come quando racconta del suo passato. “Ho vent’anni ma me ne sento molti di più”, ammette. “Il mio sogno? Aprire un ristorante pugliese tutto mio e andare a vivere da solo”.