IUS SOLI, a Tyson Alaoma e alla Tam Tam non basta essere bravi per vincere sotto il TRICOLORE
Lello Gurrado | 2 October 2017

L’hanno chiamato Tyson, come Mike Tyson, e mai nome fu più appropriato. Adesso che ha diciassette anni Tyson Alaoma fa davvero il pugile, categoria medio-massimi, e se non si può certo dire che sia bravo come il campione americano cui ha rubato il nome, bisogna comunque riconoscere che sta facendo tutto il possibile per diventarlo. Dotato di una classe superiore e di un’eleganza innata, lo sorso anno Tyson, a sedici anni, ha vinto il torneo internazionale Youth. Da allora non si è più fermato, allenandosi con grandissimo impegno, tutti i giorni, nella palestra di Tor Bella Monaca, alla periferia di Roma, facendo progressi straordinari.
Dopo tanto impegno è stato premiato con la convocazione nella nazionale italiana. Ma Tyrson Alaoma nella nazionale italiana non può combattere. Non può perché è nato in Italia, studia in Italia, presso l’Istituto superiore Aniene di Roma, parla in romanesco come Totti, ma non ha la cittadinanza italiana. Perché? Perché i suoi genitori sono nigeriani e non importa se vivono in Italia da 24 anni. E così, se la cittadinanza non arriverà in tempo, andrà a finire che Tyson parteciperà alle prossime Olimpiadi con la maglia della Nigeria. Sarà contento Alfano, saranno contenti Salvini, Di Maio, la Meloni e tutti coloro che non vogliono la legge sullo “ius soli”.
Sì, perché la legge sullo “ius soli”, una delle poche leggi civili  proposte quest’anno, non figura più nel calendario dei lavori del Parlamento. Se ne parlerà, caso mai, nella prossima legislatura. La decisione è stata presa dal PD per una considerazione aritmetica (“Non ci sono i numeri perché possa passare” ha detto candidamente Maria Elena Boschi) mentre Angelino Alfano ha dato una spiegazione più sottile, quasi filosofica: “Una cosa giusta fatta al momento sbagliato può diventare una cosa sbagliata”, ha detto con tono professorale. In realtà la sua è semplicemente una furbata per tenersi buoni lettori “pro” ed elettori “contro” la legge.
Così vanno le cose nel nostro paese. Ma anche nel mondo dello sport? Vi chiederete. Non dovrebbe, lo sport, essere al di sopra di queste cose, attento alle qualità degli atleti e non alle ideologie politiche? E no, anche lo sport offre spunti di “cronaca nera”. Non soltanto quello appena raccontato di Tyson Alaoma, ma anche, per esempio, il caso dei piccoli giocatori di basket di Castel Volturno.
A Castel Volturno, in provincia di Caserta, vivono una quarantina di ragazzini di colore che amano il basket. Hanno dai 13 i 15 anni, sono tutti nati e cresciuti a Castel Volturno, giocano a basket da alcuni anni, allenati da un ex campione di Napoli e Bologna, Max Antonelli, e quest’anno hanno pensato di iscrivere la loro squadra, la Tam Tam Basketball, ai campionati federali giovanili. Una splendida idea, un modo fantastico di integrarsi veramente nella società. Invece niente. La FIP (Federazione Italiana Pallacanestro) ha detto di no. I giovani di colore di Castel Volturno non posso prendere parte al campionato italiano perché sono stranieri. Sono nati tutti a  Castel Volturno, frequentano le scuole di Castel Volturno, ma non hanno la cittadinanza italiana. Quindi non possono giocare a basket con i loro coetanei dalla pelle bianca.
Un episodio desolante, uno schiaffo in faccia a questi giovani che si sentono, per restare in ambito sportivo, ragazzini di serie B. Ma a retrocedere non sono loro: è il nostro paese.

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