Due giovani di Bari hanno deciso di mollare tutto, di cambiare il loro percorso di vita e vendere panzerotti e focacce ad Amburgo. «Qui prevale il “falso italiano”: locali gestiti da stranieri che cucinano italiano. Anche sulla focaccia hanno idee strane»
«Chi non ha mai detto: “Adesso lascio tutto e vado a fare i panzerotti e la focaccia all’estero?”. Beh, noi lo abbiamo fatto davvero». Sorridono Andrea Romano, classe ’87, e Raimondo Catalano, classe ’86, e iniziano a raccontare la loro storia, la loro avventura tante volte sognata e in seguito realizzata. Entrambi baresi, hanno deciso di mollare tutto, di cambiare il loro percorso di vita per dedicarsi all’arte della cucina. «Abbiamo frequentato lo stesso liceo – ci raccontano – e successivamente anche la stessa facoltà. Ci siamo laureati in Giurisprudenza e abbiamo anche fatto la pratica come avvocati, ma non eravamo soddisfatti, c’era qualcosa che non ci rendeva sereni». Andrea e Raimondo sognano una loro attività e così ad agosto del 2015 decidono di fare il grande passo aprendo Focacceria Apulia, un locale di 60 metri quadri in una delle zone più elegante di Amburgo. Il che suona quasi come una sfida: la seconda città più grande della Germania ha dato il nome all’hamburger, la schiacciata di carne tritata che trionfa nei fast food.
Quali sono le difficoltà che avete affrontato per avviare l’attività?
«All’inizio è stato abbastanza complesso per via della burocrazia, che anche qui è molto farraginosa. Ci siamo subito accordati sulla suddivisione dei ruoli: Raimondo si occupa della produzione e si sveglia ogni giorno alle cinque del mattino, mentre io mi occupo del rapporto con il cliente e per questo motivo ho studiato e imparato il tedesco. Non è semplice aprire un’attività qui, trovare un locale è molto difficile e soprattutto costoso. Per prima cosa la lingua, è importante saper parlare un minimo il tedesco, inoltre anche trovare casa è difficile. Amburgo è una città molto richiesta e i prezzi per gli affitti sono altissimi, trovare un locale nella zona buona della città è molto difficile. In più le tasse sono molto alte, il reddito pro capite è il più alto d’Europa ed è la città più ricca della Germania».
Perché avete scelto questa città allora?
«Prima di tutto perché uno di noi c’era già stato ed era rimasto incantato e poi perché sapevamo che era una città costosa, ma che ci avrebbe potuto dare molte soddisfazioni in poco tempo. E’ vero, qui tutto deve essere in regola e sono molto attenti a tutto, ma questo ordine e questa disciplina rendono la qualità della vita sicuramente migliore».
Quante focaccerie ci sono ad Amburgo?
«Nessuna, siamo i primi italiani ad aver aperto una focacceria. C’è solo un locale che fa focaccia genovese, ma è gestito da turchi. Qui ad Amburgo prevale il “falso italiano”: locali gestiti da stranieri che cucinano italiano. Così, molti tedeschi non conoscono la nostra vera cucina, quindi non sanno riconoscere una vera carbonara da un piatto di spaghetti e pancetta. Anche sulla focaccia hanno idee strane».
Cioè?
«Per loro la focaccia è il pane, è da accompagnamento. Molte volte entrano nel nostro locale chiedendo il pane. Diciamo loro che abbiamo la focaccia, loro la guardano e dicono che quella è pizza. Dobbiamo spiegare parecchie cose».
Ma sapevate fare la focaccia?
«In realtà no. Uno di noi, Raimondo, ha sempre avuto la passione per la cucina e alle serate trascorse con gli amici eravamo noi che preparavamo sempre focacce e pizze. Quando abbiamo deciso di avviare il nostro progetto, abbiamo fatto un corso in una focacceria storica di Bari vecchia che ci ha insegnato i segreti del mestiere e ora eccoci qui».
Da quando avete aperto come sta andando l’attività?
«Il nostro locale è in una zona che potremmo definire la più elegante di Amburgo, la gente è parecchio diffidente, non dà confidenza, ma cresciamo giorno dopo giorno. Ci stiamo conquistando un mercato che prima non esisteva. Quando abbiamo aperto abbiamo fatto una scelta, non ci siamo voluti indebitare con nessuno. Non abbiamo chiesto prestiti alle banche, ma abbiamo fatto tutto da soli, con i nostri risparmi. Qui molto spesso funziona che se apri un locale, l’insegna o la terrazza o qualsiasi altra cosa te la paga uno sponsor, che può essere la Coca Cola o altri. Noi non abbiamo voluto nulla, volevamo essere liberi di scegliere anche cosa vendere nella nostra focacceria. E’ pesante come lavoro, ma quando una cosa la fai con passione non ti pesa».
Che atteggiamento hanno i tedeschi nei confronti degli italiani?
«Allora, ci sono ancora molti pregiudizi nei confronti di noi italiani. I tedeschi sono abituati all’idea dell’italiano fannullone, ci vedono come cibo, moda e mafia. Soprattutto le vecchie generazioni, quelle giovani invece no, si sentono europee e hanno voglia di conoscere, di capire. Alcuni vogliono anche parlare italiano. Una cosa che non riescono a capire è il concetto di cambiare vita, per loro è assurdo che dei ragazzi laureati in legge stiano facendo focacce. Non riescono a capirlo, associano questa cosa alla disperazione. Anche se un lavoro a loro non piace non hanno la flessibilità di cambiare vita. Abbiamo spesso spiegato che non siamo dei disperati che sono scappati dal terzo mondo, avevamo voglia di cambiare e di fare qualcosa che ci piaceva».
Tornerete in Italia?
«Per adesso no. Forse ci penseremo tra venti anni. Non ha senso tornare, nel nostro Paese non c’è rispetto per il lavoro, cosa che invece c’è qui. Non esistono lavori non retribuiti, non esiste lavorare senza uno stipendio. Tutto funziona alla perfezione. Prima di venire qui non capivamo quelle persone che andavano fuori dall’Italia e li criticavano, adesso capiamo perché lo facevano. Ci mancano i nostri cari, il mare della nostra città, il sole, ma ci rendiamo conto di tante cose che purtroppo non funzionano. Qui ci sono ragazzi di 30 anni già a capo di aziende, da noi c’è il più alto tasso di precariato. Siamo una Srl e speriamo di crescere con altri punti vendita, l’Italia è lontana dai nostri progetti».