I boschi dove il petrolio sta spegnendo la luce delle stelle
Gianni Svaldi | 10 October 2016

Gli ultimi mandriani della Lucania fanno ancora la transumanza, noi li abbiamo seguiti in boschi impenetrabili per chi non è nato e cresciuto in quei posti. All’orizzonte però c’è l’enorme impianto petrolifero: “Quando non c’era Tempa Rossa  la notte si vedevano milioni di stelle”

 

« In principio tutti erano felici, ma la cosa non durò, poi fu la volta di un mondo di infelici e nemmeno quello resistette molto, allora nacque un mondo “un po’ e un po'” e da allora è così.»

Ci sono momenti che non sono su facebook, come quello in cui un mandriano lucano di 75 anni agile come un 30enne ti racconta la sua personale teoria sulla genesi, tra un sorso di aglianico, un morso di pane formaggio e olive secche. Sono arrivato nei boschi tra le province di Matera e Potenza, in un posto dove anche il Gps ha problemi a capire dove sei, per raccontare la transumanza di autunno e mi sono ritrovato davanti una civiltà millenaria che rischia di estinguersi all’ombra di Tempa Rossa, impianto di estrazione e oleodotto che porterà il petrolio estratto in Basilicata sino a Taranto per essere raffinato.

In questi luoghi impenetrabili dove il pane, il formaggio, il rapporto uomini-habitat sono un mistero di madre natura, il confine tra artificio e ambiente sono solo le due tacche del cellulare che bastano per parlare e non per navigare. “Quando non c’era l’impianto di Tempa Rossa – mi racconta Milena, la figlia del mandriano – non c’era inquinamento luminoso la notte e si vedeva ancora meglio ad occhio nudo la Via Lattea”. La nube luminosa fatta di miliardi di stelle si vede ancora, anche se all’orizzonte una macchia luminosa fagocita un pezzo di cielo. Ma per quanto ancora la notte sarà così buio da poter vedere l’universo?

Quello che gli abitanti dell’alta valle del Sauro, Vald’Agri, stanno vivendo in questi anni deve assomigliare a un terremoto al rallentatore: i lavori sono iniziati anni fa, ma a regime l’impianto della Total estrarrà da otto pozzi e pomperà ogni giorno fino a Taranto 50mila barili di petrolio, più 230mila m3 di gas naturale, 250 tonnellate di Gpl e 80 tonnellate di zolfo.

Sopravviveranno la razza podolica, le capre, le pecore che due volte l’anno, in autunno e in primavera inoltrata, attraversano la Lucania dalla montagna al metapontino alla ricerca di pascoli?

E’ una stupida domanda pleonastica di cui conosco la risposta, mitigata solo dalla possibilità che qualcuno si accorga in tempo che far conoscere questa storia serva a qualcosa.

Certo, il progresso è arrivato anni fa anche tra i mandriani, non dormono più all’addiaccio, quando sono vicini a casa rientrano la notte, o riposano nelle rare masserie sul percorso, alla malaparata quando il temporale li sorprende o è troppo tardi si rifugiano in auto.

Le podoliche nel bosco, che attraversano i “regi tratturi”, percorsi antichissimi e segreti, sono una forma d’arte il cui autore è sconosciuto. Magre, poco latte e corna lunghe, cocciute, odiano le restrizioni e le stalle ma quello che fanno lo fanno al meglio. I formaggi fatti con il loro latte hanno qualità straordinarie. Solo che i mandriani quei formaggi assolutamente genuini vorrebbero farseli pagare il giusto: dopo la lunga stagionatura, 25 euro al chilo. Ma il grosso della richiesta viene da mediatori che chiedono sconti del 30 – 40% per poi rivendere il formaggio alle gastronomie del Nord, lussuose come gioiellerie, dove viene fatto pagare al cliente 8, 12 euro l’etto.

Mestiere duro quello del mandriano in Lucania. I capi vengono lasciati nel bosco, grande migliaia di ettari, la notte. La mandria si sposta e il mattino dopo la devi andare a cercare: “A volte devo camminare per ore prima di trovare la mia mandria, si piazza in posti che non si possono raggiungere con il fuoristrada, solo a piedi”, spiega Pietro che tiene stretti a sé il suo tascapane e la sua accetta. L’arma serve anche a farsi largo a difendersi e a intimorire lupi o cinghiali.

“La uso insieme al coltello per scolpire il legno, per realizzare oggetti, coltellini in legno, bicchieri, orsi, riproduzione di aratri, scolpire le palizzate. Passo il tempo così e quando incontro qualcuno, racconto le storie che ci dicevamo da ragazzi per restare svegli”. Come quella della creazione.
Intreccia anche le punte delle code delle vacche per farne lunghe corde: prodotto introvabile anche per i collezionisti di cose singolari.

Qui lo chef è la terra, raccogli, cuoci un po’ e tutto sembra uscito da una cucina a tre forchette. Chi prepara deve solo assecondare la natura.

I formaggi e i salumi sono straordinari, in autunno vai nel bosco e trovi porcini e tartufi.  Milena, che si sta laureando in veterinaria, mi offre sul campo per merenda porcini crudi appena raccolti tagliati sottili con scaglie di formaggio e filo d’olio. “Di inverno faccio la maestra elementare precaria, lavoro in Veneto, lì ci sono montagne e anche lavoro. Stasera a cena ti va un risotto con il tartufo?”, mi chiede. Io ho camminato in salita per ore e ore, imprecando in silenzio, e mi basta questo per far pace coi monti lucani.

I bovini attraversano lenti i tratturi e i boschi, Pietro e la figlia usano comandi antichissimi per governarli, suoni gutturali e acuti ai quali i capi rispondono. “Tutti gli animali della mandria hanno un nome e mi devo rivolgere chiamandoli con quello esatto per farmi ascoltare”, mi spiega il mandriano, “mia moglie invece è a casa che fa il formaggio e governa pecore e capre”. Quando l’arrampicata non è così ripida da bloccare anche il pensiero più semplice, la mia mente torna a Tempa Rossa. I mandriani, il bestiame, il cane Rex e io, abbiamo fatto decine di chilometri in due giorni, attraversato ruscelli e fiumi, paesi quasi abbandonati e rovine archeologiche di questa terra benedetta dall’acqua, e la sera i bagliori dell’impianto petrolifero sono sempre lì. Qui dicono che non fanno entrare nessuno, ma se le luci sono così intense deve essere grande come una piccola metropoli. Di certo al momento è il più grande investimento economico in Italia, tanto che ha interessato anche i russi del colosso Surgetneftegas.

Cosa resterà tra 20, 30 anni? Anche questa è una domanda ridondante. Quasi certamente gli allevatori e agricoltori più giovani saranno assorbiti dall’impianto di estrazione petrolifera o dall’indotto: un po’ come è successo a un centinaio di chilometri di distanza da qui, a Taranto (leggi: Taranto festeggia le sue cozze d’oro), quando gli allevatori ittici nei primi anni ’60 si accorsero che l’Italsider (ora Ilva) inquinava e per non permettere loro di dare fastidio furono assunti come operai. Quasi tutti sanno come è andata a finire.

Se qualcosa sarà salvato, rischierà di essere trasformato in un parco giochi per ricchi: quelli cui non frega niente dei musei, della storia ma che vogliono solo alberghi sul mare, discoteche e una bottiglia di “Cristal” in fresco (per essere pignoli si dice “Louis Roederer Cristal”, ma ai ricconi, con un sospiro, i camerieri – ragazzi di solito laureati e con master – pazientemente permettono quasi tutto).

Prima di ripartire mi regalano un casiello (formaggio di latte di capra), un pezzo di caciocavallo stagionato 36 mesi e una ricetta: le pere sotto aceto. Si usano le pere selvatiche quando non sono ancora del tutto mature, si puliscono con uno strofinaccio, si tagliano senza sbucciarle e i pezzi si infilano in un barattolo che viene colmato di aceto di vino. Da aprire dopo un mese, meglio due. Qui con questi pezzetti croccanti di pera impregnati di aceto ci condiscono l’insalata di pomodori (geniale accompagnamento leggermente aspro ai formaggi stagionati).

Recupero la mia auto nei pressi di Cirigliano (Mt), quasi sul confine con il Potentino. Mi attende un’ora di tratturi stretti e mezzi franati, per raggiungere la Sinnica. “Ci sarebbe una scorciatoia che ti farebbe risparmiare 20 minuti ma è crollato il ponte”, mi spiega la moglie di Pietro.

Le uniche strade rifatte sono quelle che portano agli impianti di Tempa Rossa.

Qui è da sempre così, è sempre un crollare e ricostruire, una volta per colpa dell’acqua, un’altra dei terremoti, un’altra ancora di un mondo politico regionale e nazionale che ignora, o fa finta, le ricchezze di questa terra e la sua unicità.

Forse la Lucania paga proprio il prezzo di essere ricca di storia, di aglianico – vino a parere di chi vi scrive potenzialmente migliore d’Italia – ricchissima di tutto, sia sul suolo che nel sottosuolo, ma incompresa, non capita. E, personalmente, temo che anche “Matera città della cultura” nel 2019 servirà a poco.

 

 

Galleria fotografica
Commenti