Lo incontriamo a un caffè sul porto di Savelletri. Occhiali a specchio colorati e un cappellino da rapper che gli coprono il volto e la testa. L’abbigliamento è sicuramente sportivo: felpa, pantaloncini e ai piedi scarpe da ginnastica. Indossa uno zainetto, che scopriremo, essere la sua “coperta di Linus”, infatti, non se ne separa mai. Nemmeno quando lo accompagniamo a scuola di danza, dove terrà lezione e dove lo “spieremo”.
Nicola De Pascale, nato ventisette anni fa a Modugno ma ormai di casa a Bari, una famiglia di artisti (padre e madre sono attori e il fratello ha un passato anche lui da ballerino) alle spalle. Dopo aver preso la qualifica di restauratore, ha deciso, con enorme dispiacere, di abbandonare gli studi scolastici per dedicarsi a quelli faticosi della danza, dovendo anche lavorare al mercato ortofrutticolo per mantenersi. .
Danzatore e da poco insegnante. Ha iniziato tardi a danzare, a dodici anni, latinoamericano. Poi, a quindici anni, per mancanza di una “dama” che lo accompagnasse anche negli studi, ha cominciato in una scuola vicino casa con la danza classica e moderna; questo gli ha comportato grosse difficoltà fisiche nel plasmare il suo corpo già fatto. Poi l’incontro che gli ha cambiato la vita e la prospettiva, quello con Ernesto Valenzano grazie al quale ha imparato molte tecniche nuove. Valenzano è l’organizzatore del concorso “Crea”: Nicola vi partecipa con una sua coreografia e vince una borsa di studio al Balletto di Roma.
Nel 2012 si trasferisce a Roma e inizia a lavorare con la coreografa Silvia Martiradonna entrando a far parte della sua compagnia “Artemisianour”. I due anni a Roma non sono una passeggiata e quindi, per motivi economici, Nicola è costretto a tornare al “paesello”: qui, demotivato, appende le scarpette al chiodo. Fino a quando il suo vecchio maestro, Valenzano, non gli propone di insegnare nella sua scuola a Cerignola. Da qui inizia la sua carriera d’insegnante.
Nel 2014 è contattato da Roberta Ferrara, un’amica e collega conosciuta ai tempi della compagnia dello stesso Valenzano, che gli propone di entrare a far parte del progetto che lei sta mettendo su, Equilibrio Dinamico. Nicola accetta, e fa benissimo, perché con questo bellissimo progetto il suo nome comincia a circolare negli ambienti della danza, conosce molti professionisti nazionali e internazionali. Insomma, comincia la sua carriera di danzatore, coreografo e insegnante (sono sette le scuole in cui adesso insegna).
Nicola descrivici la tua giornata tipo.
Al mattino dopo la colazione, prendo un autobus (non ha la patente e si muove solo con i mezzi pubblici), e mi reco nel centro di Bari per lavorare con Equilibrio Dinamico: ci alleniamo, allestiamo nuove coreografie o prepariamo gli spettacoli da portare in scena. Poi, mentre mangio al volo qualcosa, corro nelle varie scuole, dove insegno. Torno a casa, stanchissimo, verso mezzanotte. I miei mi vedono per il buongiorno e per la buonanotte (ride)..
Che bambino sei stato?
Mia madre mi racconta che sono stato molto vivace e testardo da morire.
Quando si è accesa la passione per la danza?
Intorno ai dieci anni, avevo due amiche ballerine e sentirle parlare di danza mi affascinava. Quando chiesi a mia madre se potevo prendere anch’io lezioni di danza, lei era in disaccordo, «perché danzare, è per bambine» mi ripeteva sempre. Questo è sempre stato un peso per me, fino a quando, però lei non mi ha visto danzare: ora è la mia fan numero uno.
E con gli amici?
In realtà non ho avuto molti amici se non nell’ambito della danza. A scuola ero etichettato sempre come quello “diverso”. C’è stato un episodio alle elementari che mi è rimasto impresso: una mia compagna di scuola invitò tutti alla sua festa di compleanno tranne me, che pure ero lì presente. Non fu una bella cosa, certo.
Perché la danza è spesso legata all’omosessualità? Come mai ci sono tantissimi ballerini gay, secondo te?
In realtà la danza classica si sviluppò grazie a Luigi XVI, il “Re Sole”, che fondò l’Accademia Reale di Danza. Un uomo appunto. Nella danza classica esiste la tecnica maschile, ci sono passi riservati ai soli uomini, quindi è buffo dire che sia per sole donne. La danza è arte e sensibilità estrema e le persone omosessuali sono certamente molto più sensibili a tutto questo. Credo sia il motivo per cui molti gay si avvicinano a questa disciplina: ne avvertono maggiormente lo spirito.
Parliamo di omofobia. Quanto è presente nel mondo della danza?
L’omofobia è molto sentita, proprio perché come affermavo prima, si è molto prevenuti; chi danza non deve essere necessariamente gay: la sensibilità possono avercela tutti.
Svelaci un segreto nel retroscena: esiste davvero l’invidia nel tuo mondo come si dice?
Tantissima invidia, purtroppo. Si sentono tutte prime donne, e forse il fatto che ci siano molti gay questo non aiuta! (ride). Molti dimenticano che danzare sia un’arte e vivono sempre d’immagine; così come molte scuole si circondano di tanto fumo, fatto proprio d’immagine, per “catturare” allievi, distogliendo l’attenzione alla qualità dell’insegnamento.
A che cosa hai rinunciato per essere un ballerino?
A tantissime cose: allo studio, alla patente (ride) che rappresenta un grosso problema poiché viaggio molto; spesso alle serate con gli amici.
Che cosa fai quando non danzi?
Creo, a me piace tantissimo disegnare, dipingere. Sono un patito della musica, a volte mi improvviso dj, il mio cervello non smette mai di riposare perché danza anche quando dormo.
Giochiamo un po’. Meglio una notte all’opera o in discoteca?
Una notte all’opera perchè non mi piace la discoteca.
Una serata in pantofole a leggere “Harry Potter” o al cinema a vedere l’ultimo horror (ne va matto, oltre che per la fantascienza) uscito nelle sale?
Bella domanda! (ci pensa) Sceglierei forse il cinema e magari quando rientro a casa prima di addormentarmi leggerei “Harry Potter”!
Se dovessi un giorno lasciare Equilibrio Dinamico (Roberta Ferrara non lo saprà mai…), con quale compagnia ti piacerebbe lavorare?
Spero che questo non accada! Dovendo sceglierne una, a me piace tantissimo la “Batsheva Dance Company” una compagnia israeliana diretta da Ohad Naharin: sono affascinato dal movimento del corpo che utilizzano, non troppo squadrato come la classica o la moderna richiede, ma naturale, fatto di gesti quotidiani.
Il tempo scorre veloce ed è giunto il momento di andare a scuola per la lezione. Qui lo attende un gruppetto di allievi già pronti per due ore durissime e faticosissime. La prima parte è fatta di riscaldamento durante la quale i ragazzi assumono posizioni “impossibili” che fanno urlare di dolore già a chi li guarda. Nicola è un maestro intransigente: mescola con abilità il divertimento e il rigore per la disciplina. Durante gli esercizi funge anche da “medico”, dispensando nozioni di anatomia e consigli per non storpiare quei corpi che diventeranno la perfezione assoluta. «Nessuno riesce a capire cosa prova il corpo di un ballerino quando danza», mi confessa con un sorriso disarmante. La seconda parte è tutta dedicata alla coreografia: passi e musica che si fondono con l’impegno e il sudore, affinché il sogno di respirare la polvere delle tavole di un palcoscenico si avveri.