Anno 2016
Il 6 settembre alla giovane Takwa Rejeb viene impedito di prendere parte alle lezioni dell’istituto Benlliure di Valencia. Indossa un hijab (il velo allacciato sotto la gola che copre capo e spalle).
L’8 settembre a Ciutat Vella, una donna incinta viene aggredita mentre è in strada con suo marito e i suoi figli. Indossa un niqab (l’indumento nero che copre la testa e l’intera figura lasciando scoperti solo gli occhi).
Il 10 settembre, a Lorquí, viene assassinato brutalmente un giovane marocchino di 32 anni. Un testimone racconta: l’aggressore gli ha inflitto diverse coltellate e poi allontanandosi ha urlato “ho fatto quel che dovevo fare”.
Il 21 settembre, a Cordova, tre individui appartenenti a gruppi di estrema destra vengono processati per il tentato omicidio di un volontario di una ONG. “Traidores a España, os vamos a matar”.
In Europa i casi di islamofobia sono cresciuti del 500% e la Spagna, in questo avanzare, registra casi di odio razziale ormai quasi settimanalmente. Isabel Romero, vicepresidente di “Plataforma Ciudadana Contra la Islamofobía” sostiene che ormai, dopo gli attentati di Parigi e di Nizza, l’islamofobia abbia superato il limite dell’insulto per divenire in breve tempo vera e propria aggressione specie nei confronti delle donne musulmane che, spesso volontariamente e in nome della loro libertà, indossano veli, niqab e hijab.
A questo progressivo odio, Barcellona risponde con un piano municipale contro l’islamofobia che dovrebbe essere presentato a dicembre e che si spera possa far fronte alla discrimazione in atto nei confronti dei musulmani barcellonesi aggravata dai recenti attacchi terroristici in Europa.
Lo studio è stato affidato a tre antropologi specializzati che hanno fotografato e analizzato le problematiche che affliggono le tre ultime generazioni vicine al credo islamico che vivono, studiano e lavorano nella capitale catalana.
Si tratta della prima misura concreta del programma “Barcelona, Ciutat de Drets” (Barcellona, città dei diritti) presentato lo scorso luglio.
Due dei principali aspetti emersi dallo studio sono l’acutizzarsi della precarietà dei centri di culto islamici e l’assoluta mancanza di direttive chiare e comuni nelle scuole in tema di convivenza e di rispetto della diversità altrui.
López Bargados, uno degli antropologi coinvolti nel progetto, spiega che gli individui di credo islamico hanno come la sensazione di vivere in una società che li ignora, a volte li disprezza e che spesso li teme: “le richieste avanzate in termini di dignità degli spazi di culto e di riorganizzazione dei centri educativi nascono in un clima dominato da una paura irrazionale nei confronti dell’espressione della fede musulmana nei luoghi pubblici delle nostre città”.
Aggiunge inoltre che “la condizione di precarietà e di mancanza di mezzi di sussistenza dei centri islamici toglie dignità al culto e condanna le congragazioni ad una sorta di clandestinità”.
Per quanto riguarda le scuole, invece, le richieste inoltrate riguardano principalmente l’abbigliamento, la possibilità di assentarsi durante le festività musulmane e la garanzia di menú halal (il termine halal significa <lecito> e fa riferimento a tutti quegli alimenti consentiti dalla religione islamica).
Secondo l’antropologa Ariadna Solé Arraràs, la questione abbigliamento preoccupa soprattutto le donne che, secondo i risultati della ricerca, soffrono una maggiore discriminazione sia nei luoghi pubblici sia in ambito lavorativo.
I tre studiosi coinvolti nel progetto hanno concluso la presentazione dello studio affermando che “è ingenuo credere che un’azione coordinata da un’amministrazione cittadina possa porre fine all’odio e al disprezzo quotidiano nei confronti dei musulmani barcellonesi”. Tuttavia è impensabile ed inaccettabile la conclusione secondo cui “nulla è possibile per arrestare quest’ondata di odio e violenza”.
© Daniel Lobo (CC BY 2.0)