Sono dieci anni che a Venezia il Leone oltre che d’oro è anche gay. Istituito nel 2007, grazie a Daniel N. Casagrande e a Marco Müller, con il sostegno di Franco Grillini, il “Queer Lion Award” premia il “Miglior Film con Tematiche Omosessuali & Queer Culture”. Con l’arrivo di Alberto Barbera come direttore, la Biennale di Venezia riconosce così il Queer Lion come un premio collaterale della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, che sceglie dunque la pellicola tra tutte quelle presenti al Lido, che siano in concorso, fuori concorso o partecipanti a sezioni speciali.
Nelle edizioni passate, tra le pellicole premiate ci sono dei veri gioielli, a cominciare dal film premiato lo scorso anno, lo splendido “The Danish Girl” firmato da Tom Hooper che ha regalato, meritatamente, la seconda candidatura all’Oscar come Miglior Attore a Eddie Redmayer, nei difficili ma affascinanti panni di Lili Ebe. Altri film premiati sono stati, giusto per citarne un altro paio doc, “Philomena” di Stephen Frears (nel 2013) e “A single man” di Tom Ford (nel 2009).
Dieci le pellicole che si sono contese l’ambito premio quest’anno. La giuria presieduta dalla critica cinematografica Cecilia Ermini e composta da Rich Cline, un giornalista inglese e lo stesso fondatore del premio, il giornalista Daniel N. Casagrande, ha premiato “Hjartasteinn (Cuore di pietra)”, di Guðmundur Arnar Guðmundsson. Il film, una coproduzione tra Danimarca e Islanda, narra la storia di due ragazzi, Thor e Christian, che, in uno sperduto villaggio di pescatori della gelida Islanda, vivono tormenti d’amore. Il primo verso una ragazza, il secondo verso il primo. Così come la dolce estate lascia lo spazio al brutale inverno, così, per i due protagonisti, è tempo di crescere e di diventare adulti. Questa la motivazione che ha accompagnato il premio: «Per aver raccontato con estrema delicatezza il coming of age di due giovanissimi e fraterni amici, mostrando le difficoltà di accettare sentimenti e passioni omosessuali. Per la rappresentazione efficace del conflitto interiore che separa e poi riunisce i due protagonisti, ambientando questa straordinaria storia in un contesto naturale tanto bello quando duro e crudele». Non ci resta che sperare in un coraggioso produttore italiano che distribuisca quanto prima la pellicola in qualche sala.
Tra le pellicole in gara, da segnalare i due italiani: “Questi giorni” di Giuseppe Piccioni (sempre una garanzia) con Margherita Buy e Filippo Timi e “L’estate addosso” di Gabriele Muccino. Entrambi hanno come protagonisti adolescenti tra la maturità e l’università, alla scoperta del futuro e delle incertezze dei legami d’amicizia e d’amore. Oltre al film-fiume (quasi quattro ore) del filippino Lav Diaz, dal titolo “Ang babaeng humayo (La donna che partì)”, che ha poi vinto il Leone D’oro della Mostra, i due titoli che hanno suscitato la curiosità del mondo internauta omosessuale sono l’australiano “Boys in the Trees” di Nicholas Verso (una passeggiata tra due amici d’infanzia che hanno “cose in sospeso” si trasformerà in un’esperienza oscura al confine con la magia), basato sulla sceneggiatura che ha vinto cinque anni fa il “New York Gay and Lesbian Film Festival”, e soprattutto il francese “Jours de France” di Jérôme Reybaud. La storia è quella di Pierre Thomas e Pierre, una coppia felice che vive a Parigi. L’incanto si rompe quando il primo, all’improvviso, decide che la cosa è diventata stretta e decide di mollare tutto e mettersi in viaggio per la nazione, alla ricerca di altri “sapori sessuali” con sconosciuti, inseguito dal suo compagno che cerca di trovarlo con “Grindr”, l’app d’incontri gay. Il film promette, oltre alla disillusione che la coppia perfetta non esiste nemmeno nella finzione, scene di sesso bollente.