Fautori del genere definito synthpop, sono il duo più celebre del Regno Unito nella storia del pop, con oltre cinquanta milioni di dischi venduti in tutto il mondo tra la metà degli anni ’80 e ‘90. Stiamo parlando dei “Pet Shop Boys”, (i ragazzi del negozio di animali, perché pare che lì si siano incontrati davvero), composto dal vocalist Neil Tennant e dal tastierista Chris Lowe, diventati un simbolo dell’era dei Paninari e degli Yuppies negli anni ’80, e soprattutto assurti a mirabile “icona gay”. Sfidiamo chi non ha mai “ancheggiato” a ritmo di “Go West”, non a caso una cover della prima band dichiaratamente omosessuale, i Village People, o “Domino Dancing”, giusto per citare un loro paio di hit.
Perché sono diventati un’icona del popolo rainbow? Almeno tre i motivi. Primo, perché erano due maschi, bellocci, uno dichiaratamente gay (Neil), l’altro (Chris) che continuava a ripetere che «esiste, di fatto, “un solo sesso”»; durante le esibizioni l’intesa tra i due, equivoca o no, era tangibile e infiammava le passioni più sopite di chiunque fosse in attesa di “venire fuori”: loro lo stava facendo in pubblico, durante le trasmissioni, i concerti e i video. Essere omosessuale e poterlo dichiarare diventata sempre meno un problema: cominciava la vera battaglia contro la censura e l’omofobia. Non si facevano problemi a venir fuori e a sollecitare a farlo. Secondo, perché il loro look è sempre stato veramente di tendenza, tanto da lanciare mode e linee di abbigliamento e di accessori (vogliamo parlare degli occhiali di entrambi?). Terzo, erano musicalmente dei talenti, tanto da essere apprezzati anche dal mondo etero. E questo contribuì maggiormente al loro successo planetario, nonostante fossero stati da subito “etichettati”. Sempre all’avanguardia musicale, il duo è stato un modello di trasgressione per aver lanciato, nei loro testi, messaggi chiari: omosessuale è bello, stop all’omofobia e stop alla pedofilia, soprattutto quella nascosta sotto i lussuosi tappeti del Vaticano. Una sfida in questo senso la lanciarono incidendo il brano “It’s a sin” (“È un peccato”), dove nel testo si fanno chiari riferimenti alla rigidità dell’educazione cattolica, di religione e di peccati: «Padre, perdonami, ho cercato di non farlo. Qualunque cosa tu mi hai insegnato, io non ci credevo. Padre, mi hai combattuto, perché non m’importava. Ed io continuo a non capire. Così guardo la mia vita in retrospettiva, sempre con un senso di vergogna». Appunto.
Autori di canzoni che sono dei veri simboli per la cultura gay e non solo: “Can you forgive her?”, “New York City Boy”, “West and Girls”, “Suburbia”, un pezzo sul coming out dal titolo “Metamorphosis” («A causa del mio comportamento che è sempre stato strano, ho attirato l’attenzione della gente per strada. Ma qui sono io, una volta ero un bruco ora una farfalla» e “Being Boring” sul dramma dell’Aids («Ora sono seduto con volti sconosciuti, dentro stanze affittate e posti stranieri. Tutte le persone che ho baciato, alcune sono qui, altre sono scomparse negli anni ‘90»). Innumerevoli anche le collaborazioni con altre innegabili icone gay, come David Bowie, Elton John, Liza Minelli, Madonna, Kylie Minogue e Lady GaGa.
Il duo è stato anche tra i primi ad abbattere il muro di omertà sul mondo omosessuale servendosi di una serie di videoclip, delle piccole opere d’arte. Nel video di “It’s a sin”, un vero manifesto del coming out, porta la prestigiosa firma di un’altra icona gay, questa volta della settima arte, Derek Jarman (quello di “Sebastiane” e di “Edward II”, per intenderci), due ragazzi, infatti, si scambiano delicatissimi baci. Spesso nei loro video appaiono modelli da copertine patinate, belli da togliere il fiato per la perfezione dei corpi e dei volti, spesso in atteggiamenti sensuali e molto equivoci: come non solleticare l’immaginario di chiunque? Dalle casalinghe disperate al gay più maturo, chi non ha mai sognato un aitante idraulico disteso per terra, sotto il lavandino della cucina, con i muscoli scintillanti nell’atto di uno sforzo che profuma di sublimazione?