Ivan, tu sei tra i pochi ad essere entrato a Kobane durante l’assedio da parte dello Stato Islamico e a farne un libro. Cosa ti ha spinto a entrare in questo conflitto in corso come reporter? E cosa a raccontare anche le vicende delle donne combattenti?
“La curiosità. Ma non quella di assistere ai combattimenti, ma quella di vedere con i miei occhi la società nuova che i curdi raccontavano di volere costruire, anche a Kobane, in piena guerra con l’Is. Capire se davvero il cambiamento proposto dalla carta dei diritti che i curdi hanno proposto, quello che chiamano il confederalismo democratico. E quello che ho trovato è stato davvero straordinario. Pur nella difficoltà, tra le macerie, si respirava voglia di vita. Sembra una banalità, ma quasi mai ho sentito discorsi sul nemico, quasi sempre ho ascoltato parlare di ciò che si poteva fare, non di quello che hanno fatto o faranno gli altri, inteso come nemico o come alleato”.
Visto dall’Italia, la guerra all’Isis pare essere un rompicapo. Le potenze in campo sono troppe e la posta in gioco molto alta. È davvero così o ci sono elementi che non ci sfuggono?
“Quando ci si trova sul terreno, può essere in Siria o in Iraq, ma anche in Turchia, certe cose non si può fare a meno di notarle. L’informazione è da una parte costretta a semplificare, dall’altra è davvero complesso dire con esattezza cosa accade. Poi ci sono anche le storie che non si vogliono raccontare, ma quello è un altro conto. Detto questo, l’Is evidentemente ha relazioni con forze che sono in campo e che la logica imporrebbe pensarli come avversari. Ad esempio l’Iraq del Nord, quello curdo di Barzani, permette al petrolio che l’Is vende di contrabbando di arrivare fino in Turchia. Lo sanno tutti in Iraq, è talmente evidente… Le strade in Iraq sono perfette, veloci e nuove. Transitano migliaia di camion cisterna ogni giorno attraverso quel territorio. Chi può non vederlo?
Ma se penso a come sono entrato io a Kobane, nel libro lo racconto e non è stato facile, non posso far finta di non avere visto il giorno dopo miliziani dell’Is entrare con tutta tranquillità in Siria proprio dalla Turchia.
Potrei fare mille esempi solo per fare capire quanto sia complicato tutto. Un rompicapo.”
Hai fatto la scelta di raccontare il fronte curdo, a differenza di molti tuoi colleghi. Quale la ragione? A tuo modo di vedere, come viene raccontata dai media la vicenda curda?
“In Italia soprattutto, ma non solo, si è data molta importanza alle donne combattenti. C’è l’estetica della combattente che è uno stereotipo sbagliato secondo me. Mi spiego, esaltiamo il loro coraggio e la loro bellezza come se non comprendessimo che è proprio questa nostra meraviglia a impedire che le persone si affranchino per quello che sono, senza pensare a che genere uno appartiene. Non sono le donne che si sono emancipate, sono i maschi che sono diventati uomini. E non è cosa da poco.
L’altra questione che meriterebbe davvero spazio sui media è quella che riguarda i curdi che vivono in Turchia del sud. Sembra che il mondo non voglia vedere, ma ogni giorno a Silvan, Nusaybin, Dyiarbakir ecc…, muoiono civili, uccisi dai soldati turchi”.
Cosa sta accadendo, in questo momento, a Kobane? E ai curdi in generale?
“Ricostruire Kobane è impresa che ha bisogno di tempo, di fondi e di una reale volontà di aiutare la gente di li. Bisogna considerare che le città liberate dai curdi sono a pezzi e non c’è solo Kobane. Is prima di lasciare questi territori distrugge più che può, mina le case che rimangono in piedi, avvelena i pozzi d’acqua… non è facile ripartire. Non è che si caccia l’Is e poi la vita riprende come prima. Ora si sta giocando anche un’altra partita in Siria, tutta interna, che definirà il futuro prossimo di questo Paese”.
Quali sono le responsabilità turche e quelle europee su quanto sta accadendo ai curdi?
“La Turchia fino dal principio della guerra in Siria ha approfittato della situazione. Basti pensare che la maggior parte dei combattenti giunti in Siria per combattere con Is sono passati da li e nessuno si è opposto al loro transito. Anzi. Quando dalla Siria la gente cercava rifugio oltre il confine non sono state certo accolte con umanità. E oggi c’è una vera e propria guerra nel sud della Turchia e l’Europa in questo ha molte responsabilità. Oggi Erdogan sta facendo costruire un muro tra Siria e Turchia, con i soldi della Ue. Sai, sono stato da poco in Messico, da Sud a Nord l’ho attraversato. Con le dovute differenze, la Turchia fa per l’Europa quel che il Messico fa per gli Usa. E non mi riferisco soltanto ai migranti”.
Della politica di Erdogan cosa pensi? E della politica europea della porta girevole che gli consegna sei miliardi di euro?
“Penso male, ovviamente. Sono però cosciente che sono troppe le cose che non sappiamo. Comunque quel che si vede già mi basta. E quel che ho visto sono confini chiusi per le persone, soprattutto per alcune. Quel che ho visto sono aggressioni armate a civili inermi, imposizioni di coprifuoco a interi villaggi…
Con quei soldi Erdogan fa la guerra in casa sua e costruisce il muro impedendo a chiunque di parlarne, soprattutto in Turchia. Un Paese dove Erdogan vuole controllare tutto”.
Quali sviluppi prevedi per il futuro dei curdi e del conflitto contro l’Isis?
“Fare previsioni è difficile. Se i curdi nel Rojava riescono a dimostrare, mi sembra che lo stiano facendo, di sapere tenere anche militarmente secondo me la otterranno l’autonomia che inseguono. Ma sono i primi a non volere dividersi dalla Siria, come non vogliono staccarsi dalla Turchia. I tempi sono cambiati e non inseguono un sogno nazionale, ma i diritti. Ma la cosa paradossale è che proprio quel che rimane del regime di Hassad ed Erdogan stanno facendo di tutto per metterli nelle condizioni di andare per la loro strada. Quello di Hdp in Turchia è molto più di un esperimento.
L’Is? Ho paura di ciò che verrà dopo. Se Al Qaeda ci ha terrorizzato e in confronto oggi paiono quasi umani, figurati cosa ci dobbiamo aspettare dopo questi. No, non sono ottimista, ma quello in generale…”