Patria, Minerva e María Teresa Mirabal erano sorelle e attiviste del Movimento 14 giugno, un gruppo politico clandestino dominicano che si opponeva alla dittatura di Rafael Leónidas Trujillo fra gli anni Trenta e gli anni Sessanta del secolo scorso. Mentre andavano a far visita ai loro mariti in prigione, le sorelle Mirabal furono bloccate lungo la strada da agenti del Servizio di informazione militare e torturate, bastonate, strangolate, infine gettate in un precipizio a bordo della loro auto, come per simulare un incidente. Accadeva il 25 novembre 1960. Per questo il 25 novembre è la data scelta dalle Nazioni Unite per celebrare la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.
Sono tante, troppe le donne che – come le sorelle Mirabal – ancora oggi sono vittime di violenza fisica e psicologica da parte di uomini. “Uomini che odiano le donne”, come li definirebbe Stieg Larsson.
Anche il mondo dell’arte prende posizione. L’installazione dell'artista messicana Elina Chauvet, “Zapatos Rojas” è diventata simbolo della denuncia dei femminicidi. Scarpette rosse, disseminate nelle piazze e sulle scalinate delle principali città italiane, fungono da triste scenografia alle manifestazioni di denuncia di questa violenza insensata e generalizzata che aumenta di anno in anno.
Il tema degli abusi sessuali sulle donne nel 2017 è balzato alla cronaca per il suo impatto devastante sul mondo del cinema, un terremoto mediatico e giudiziario che ha spazzato l’impero cinematografico Hervey Weinstein a Hollywood. Anche grazie alla denuncia di svariate attrici denominate “silence breaker” e celebrate come “person of the year 2017” dal Time, fino alla campagna Twitter internazionale #metoo e italiana #quellavoltache, molte donne hanno deciso di rompere il silenzio e di denunciare gli abusi subiti.
Ma non bastano scarpe rosse, campagne social, rapporti statistici e analisi per porre fine a questa situazione. I centri antiviolenza sono pochi e hanno subìto un taglio notevole dei fondi. La legge non viene debitamente applicata. Le donne si ritrovano spesso sole a fronteggiare una situazione in cui il proprio carnefice fa parte della famiglia, è un fidanzato o un marito.
Non tutte sono affascinanti attrici che hanno a disposizione uffici stampa e organi di informazione che fungono da cassa di risonanza degli abusi mandati giù. Non tutte sono abili a utilizzare i canali social per rendere virale il proprio messaggio di denuncia. In che modo una casalinga o una lavoratrice precaria, magari con figli a carico, con un livello medio-basso di educazione digitale, può alzare la testa e far sentire la propria voce? E’ sufficiente avere un telefono. Da gennaio a giugno 2018 dalla sola città di Roma sono arrivate 444 chiamate da parte di donne vittime di violenza al numero gratuito di pubblica utilità 1522, promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità e gestito da Telefono Rosa. In tutto l’anno precedente nel erano arrivate in totale 587. Nel resto d’Italia fino a giugno 2018 sono arrivate 4 mila 664 telefonate, mentre in tutto il 2017 ne erano arrivate 6 mila 533. In definitiva, se mettiamo a confronto il primo semestre del 2017 con il primo semestre del 2018, quest’anno sono arrivate il 53% in più di telefonate.
Sono aumentate le violenze o sta aumentando la consapevolezza e la capacità delle donne di reagire ai soprusi? Le denunce arrivano soprattutto da parte di donne italiane (87,01%), caratterizzate dal fatto di avere figli (70,8%) e scarsa autonomia economica (oltre il 50% sono disoccupate, casalinghe, pensionate o lavoratrici in nero).
Chi sono gli uomini che odiano le donne? Per lo più italiani (88,24%), in gran parte con figli (68,49%) e un’occupazione (54,68%). Dati che fanno venire meno il cliché che gli autori di violenze contro le donne siano soprattutto gli stranieri privi di permesso di soggiorno o con revoca del permesso per motivi umanitari, credenza avallata dall’omicidio di Desirée nell’ottobre 2018 nel quartiere San Lorenzo di Roma. Chi perpetra violenza sulle donne è un uomo, a prescindere dalla sua nazionalità.
Anche le denunce di stalking seguono più o meno lo stesso andamento: il 95,45% proviene da donne italiane, di cui oltre la metà ha figli ma in questo caso aumenta la percentuale di indipendenza economica: il 63,86% ha un lavoro.
Il tema è stato affrontato il 15 agosto 2018, in occasione dalla pubblicazione dei dati annuali sulla sicurezza in Italia divulgati dal Ministero dell’Interno. Se in generale dall’1 agosto 2017 al 31 luglio 2018 gli omicidi risultavano in diminuzione, erano invece in aumento quelli contro le donne provocati da partner, familiari o ex partner. Sul totale degli omicidi, più di un terzo ha riguardato le donne.
Dal 2017 al 2018 sono aumentati del 20,7% gli ammonimenti del questore, di cui il 17,9% riguarda la violenza domestica, e sono aumentati del 33,1% gli allontanamenti. Risultano invece diminuite del 26,3% le denunce per stalking, passate dalle 8732 del 2017 alle 6437 del 2018. Come interpretare quest’ultimo dato? Vuol dire che i casi di stalking sono effettivamente diminuiti, oppure che la denuncia viene percepita come inutile dato che spesso non è seguita da azioni concrete da parte delle istituzioni o perché i tempi di azione sono lentissimi? Secondo dati del Ministero dell’Interno elaborati dall’Istat, nel 2015 sono state 15.733 le persone adulte iscritte nei registri delle procure per reato di stalking, ma solo nella metà dei casi è seguita una azione penale. Per quanto riguarda i maltrattamenti, nel 2015 sono stati 21.305 gli iscritti per almeno un reato e in meno della metà dei casi (42,5%) c’è stata una azione penale. Nel caso della violenza sessuale, sono 6.196 gli autori iscritti alle procure, di cui 64,1% ha subito una azione penale, mentre nel caso della violenza di gruppo l’azione penale è iniziata nel 41,6% dei casi. Non c’è da stupirsi dunque se c’è un clima di sfiducia generalizzato nei confronti della denuncia come strumento per avviare effettivamente un percorso di salvezza per la donna. Anzi, una denuncia che non porta a conseguenze immediate sull’autore dello stalking genera per la donna una situazione di maggiore disagio se non perfino pericolo.
Nel settembre 2017 Giorgio Alleva, presidente dell’Istat, durante un'audizione parlamentare presso la “commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere” ha mostrato – dati alla mano – che negli ultimi dieci anni oltre la metà delle donne ha perso la vita tra le mura domestiche a opera di fidanzati/mariti attuali o passati, artefici anche di stupri (63%) e di rapporti sessuali indesiderati (oltre il 90%). Secondo elaborazioni sui dati del Ministero dell’interno, sono state 149 le donne vittime di omicidi volontari nel 2016 in Italia. Quasi 3 su 4 di questi delitti sono stati commessi nell’ambito familiare: 59 donne sono state uccise dal partner, 33 da un parente e 17 da un ex partner.
Anche l’ambiente lavorativo si rivela ricco di insidie, sempre secondo i dati elaborati dall’Istat: sono 1 milione 403mila le donne che hanno subito almeno un ricatto sessuale sul posto di lavoro nella loro vita. Nell'11% dei casi, la vicenda si è conclusa con il licenziamento della donna molestata.
A conferma di quanto sia inconsistente l’equazione “più stranieri in circolazione, più violenza sulle donne”, i dati mostrano che l’80% degli stupri sulle donne italiane è stato commesso da un italiano, gli stupratori stranieri sono il 15,1%. Gli stupri nei confronti delle donne straniere sono stati commessi da loro connazionali nel 73,2% dei casi.
L’Istat è tornato sullo stesso tema nel luglio 2018, in occasione della pubblicazione del Rapporto SDGs 2018 che contiene informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia. Si tratta di un aggiornamento e un ampliamento degli indicatori diffusi per il monitoraggio degli obiettivi dello sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, uno dei quali fa riferimento proprio all’obbligo di mettere in campo misure per ridurre la violenza in generale e quella sessuale in particolare.
Tali azioni hanno impatto devastante non solo sulle donne, ma anche sul tessuto familiare: è in aumento la percentuale dei figli che hanno assistito a episodi di violenza sulla propria madre (dal 60,3% al 64,8% tra il 2006 e il 2014) e di quelli che sono stati direttamente coinvolti (dal 15,9% al 23,7%).
Secondo dati Istat del 2014, quasi una donna su tre (31,5%) ha subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 3% ha subito stupro e il 3,5% tentato stupro.
Ma ha denunciato la violenza subita solo l’11,4% delle donne italiane e il 17% delle straniere. Secondo i dati del Ministero della Giustizia, sono 2977 (di cui 1828 italiani) i detenuti maschi in carcere per avere commesso violenza sessuale, 691 quelli in carcere per avere commesso stalking e 186 per percosse.
Ti amerò fino ad ammazzarti. Secondo i dati dell'associazione Sos Stalking, nei primi 6 mesi del 2018 ci sono stati 44 casi di femminicidio, 113 casi nel 2017, 115 casi nel 2016, 120 casi nel 2015, 117 casi nel 2014 e 138 casi nel 2013 - anno in cui è stato approvata la legge 15 ottobre 2013, n. 119 “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”. sostanzialmente negli ultimi anni è morta per femminicidio quasi una donna ogni due giorni.
Nel 55,8% dei casi l’omicida intratteneva una relazione sentimentale con la vittima. Nel 63,8% dei casi la vittima e il carnefice erano coniugi o conviventi, nel 12% dei casi erano fidanzati, nel 24% dei casi c’era stata una relazione sentimentale (matrimonio o fidanzamento) terminata prima dell'omicidio.
Gli autori di femminicidi hanno prevalentemente una fascia di età compresa tra i 31 e i 40 anni, mentre le vittime invece sono per lo più ragazze tra i 18 e i 30 anni.
In circa l’80% dei casi la vittima del femminicidio è italiana, nel 22% dei casi è straniera, soprattutto originaria dall'est Europa. Secondo le analisi condotte da Istat in collaborazione con il Ministero della Giustizia, il femminicidio è dettato prevalentemente da motivi passionali e gelosia ed è caratterizzato violenza accanita (in più del 40% dei casi le donne vengono colpite ripetutamente) e utilizzo di armi “casalinghe” e di facile reperibilità come martelli, accette, picconi, rastrelli.
Violenza, stalking, percosse: come uscire dal tunnel Che misure stanno prendendo le istituzioni per fronteggiare questa situazione? Di fronte alla macchina farraginosa della giustizia italiana, spesso troppo lenta rispetto alla rapidità con cui precipitano situazioni del genere, la ministra della Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno (che è anche avvocato penalista e autrice della legge sullo stalking nel 2009), ha lanciato il progetto “Codice rosso”, una sorta di corsia prioritaria per gestire le denunce di violenza in cui ci sono pericoli per l’incolumità di una donna.
La Polizia di Stato porta avanti da qualche anno la campagna di comunicazione e sensibilizzazione “…questo non è amore”: camper, pullman, gazebo e momenti d’incontro si svolgono periodicamente in tutte le province italiane per offrire alle donne vittime di violenze fisiche e psicologiche il supporto di un’equipe di operatori specializzati, da medici, psicologi e rappresentanti dei centri antiviolenza.
Il numero verde 1522 raccoglie le richieste di aiuto delle vittime di abusi domestici. Il servizio mette in contatto la donna con il Centro antiviolenza più vicino che offre protezione e aiuto. Secondo la mappatura fatta dall’associazione Casa delle donne per non subire violenza, in Italia ce ne sono circa 160.
Quando una vittima non può tornare a casa perché rischierebbe la vita, il Centro attiva protocolli in emergenza coinvolgendo le forze dell’ordine e trova una casa-rifugio, una sorta di luogo di accoglienza che offre un tetto e un pasto caldo alle vittime e ai loro bambini. Nel caso di violenza domestica, la difesa in tribunale della vittima è a carico dello Stato. Nel caso di ricovero e permanenza in casa rifugio, i costi sono a carico del Comune di residenza.