Un pugliese su tre ritiene che la corruzione sia molto presente nel territorio regionale, mentre oltre la metà la ritiene abbastanza diffusa. La percezione della diffusione della corruzione in Puglia risulta molto più ampia rispetto al campione nazionale (90,4% a fronte dal 73,4%). Quattro pugliesi su dieci, invece, dichiarano di conoscere personalmente o di aver conosciuto in passato qualcuno coinvolto in pratiche corruttive (aver ricevuto o aver offerto tangenti e/o favori indebiti). Sono solo alcuni dei dati del rapporto Liberaidee, presentato a Bari di recente.
La ricerca nazionale (10.000 questionari in tutta Italia, e una ricerca qualitativa, con oltre 100 interviste alle associazioni di categoria) condotta dall’associazione Libera di don Luigi Ciotti, fotografa la percezione dei cittadini rispetto ai fenomeni mafiosi e corruttivi. Nel corso dell’indagine, sono stati somministrati in Puglia 343 questionari, il 3.3% del campione nazionale. I dati sono sconfortanti. Principale bersaglio resta la politica. Emerge con forza una concezione della politica come di una sfera “altra” rispetto al proprio vissuto quotidiano, un tema sul quale ci si informa ma senza partecipazione diretta: il 49% dice di tenersi informato ma senza partecipare.
Ben il 23% dichiara che la politica non gli interessa o che genera disgusto. Si riduce anche la tendenza all’associazionismo: oltre un pugliese su due non aderisce ad alcuna associazione, mentre la maggior parte di chi si attiva su questo fronte dedica il suo tempo soltanto a una realtà associativa.
Una regione rassegnata, dove gli episodi di corruzione non vengono denunciati, per il timore per le conseguenze della denuncia o per la paura che l’intero sistema sia corrotto, forze dell’ordine incluse. Regione dove la mafia viene percepita come fenomeno preoccupante e la sua presenza socialmente pericolosa e dove la mafia straniera è rappresentata prevalentemente dagli albanesi (24,2%) – con una percentuale più che doppia rispetto alla media nazionale. Unica nota positiva. Il 75% degli intervistati percepisce i beni confiscati come una risorsa per il territorio, capace di portare benefici all’intera comunità locale.