Il libro Sempre dalla stessa parte è edito da Radici Future. In foto Susanna Camusso e Gianni Forte
Il racconto di una vita spesa sulla “frontiera” del lavoro
Redazione | 22 February 2017

Gianni Forte ha presentato a Taranto il suo ultimo libro “Sempre dalla stessa parte”. Testimone: Susanna Camusso (Cgil)

di Silvano Trevisani

La gente non ha in simpatia coloro che con troppa facilità lasciano la guida delle organizzazioni sindacali per dedicarsi alla politica: i lavoratori lo ritengono un tradimento. Forse lo è. È quello che sostiene un uomo che al sindacato ha dedicato la sua vita, sin dalla giovanissima età, e che oggi, dopo il pensionamento, prosegue la sua avventura alla guida della segreteria regionale dei pensionati della Cgil. Stiamo parlando di Gianni Forte, che ha deciso di raccontare la sua vicenda umana, che coincide quasi completamente con la sua storia di sindacalista, in un libro che è un piccolo caso editoriale, che ha visto esaurirsi in soli 30 giorni la prima edizione ed è stato ristampato: “Sempre dalla stessa parte”, edito dalla giovane e vigorosa casa editrice Radici future, per la collana Radici.

Un titolo che è, allo stesso tempo, una sintesi e una provocazione. Una sintesi di 40 anni di storia, che Forte ha vissuto in un ruolo impegnativo e in un osservatorio privilegiato, come quello di dirigente sindacale, nella drammatica dinamica sociale di Taranto e della Puglia. Una provocazione perché rimarca una coerenza che contrasta con l’atteggiamento di tanti che non sono rimasti “sempre dalla stessa parte”. Non sono stati, cioè, sempre dalla parte dei lavoratori, che affidavano i propri diritti e le proprie paure al sindacato. Dalla parte dei più deboli che, soprattutto nelle campagne, chiedevano di essere difesi, perché, dopo anni di lotte e impegnative conquiste, subivano una “restaurazione” di fatto, attraverso il caporalato e le gestione criminale di fette di economia. Sotto accusa, Forte mette anche molta parte della politica che, anche nella sinistra italiana, ha cambiato la propria identità per prendere la strada del personalismo e dell’individualismo, imposti da un’idea liberistica della società e dell’economia.

La vicenda autobiografica Forte la riscrive a mo’ di romanzo, assecondando la propria vena letteraria, già sperimentata in “Uno dei tanti” del 2007, seguito a “Storie di braccianti” del 1996.

Io appartengo alla generazione di quadri Cgil che provengono e si sono formati sul territorio. Specie al sud, la schiera è molto nutrita. Si tratta di quadri per lungo tempo considerati un po’ fuori moda. A livello nazionale si riteneva che a sud i dirigenti della Cgil fossero più politici che sindacalisti. Più avvezzi rappresentare bisogni esterni ai luoghi di lavoro che a contrattare nelle aziende. Ritengo invece che quel tipo di esperienza andrebbe rivalutata. È la mission per le nuove generazioni. Per la nuova leva di quadri che devono formarsi come sindacati del territorio, perché è lì che si gioca il futuro del sindacato in Italia. Nella capacità di rappresentare bisogni e di incanalarli verso una nuova frontiera dell’azione collettiva”.

È un brano, questo, che riassume il senso dell’esperienza di Forte e della sua voglia di raccontarla. Che ricorda fatti e fenomeni diventati, poi, casi di rilevanza nazionale: la lotta dei braccianti, il drammatico effetto dell’evoluzione della politica agricola rappresentato dal caporalato, l’Ilva e le ondate di disagio sociale che accompagnarono la fine della sua costruzione (la Vertenza Taranto) e la sua privatizzazione, i cui effetti investono oggi pesantemente tutto il territorio.

Per la presentazione nella “sua” Taranto, dove fu segretario provinciale, in una cornice di pubblico composita e intensa, composta da numerosi iscritti e dirigenti sindacali di ieri e di oggi, nella Cittadella delle imprese, c’era anche Susanna Camusso, segretaria nazionale della Cgil, che ha dato testimonianza del ruolo che Forte ha avuto nell’avviare il lungo percorso finalmente sfociato in una legge contro il caporalato. La leader della Cgil ha detto con parole chiare che la rottura dell’unità del lavoro è stata la causa del “cambiamento in negativo” che il Paese ha conosciuto, mentre la crescita delle diseguaglianze non è stata casuale ma abilmente pilotata delle forze che perseguivano, attraverso l’esaltazione del mercato, gli interessi delle caste e della finanza.

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