Leggendo le prime pagine di “Una storia quasi solo d’amore” si ha l’impressione di trovarci davanti la solita storia d’amore e formazione giovanile. Ma è un sapiente inganno (fate attenzione a quel “quasi” nel titolo) e Paolo Di Paolo, autore di questo piccolo gioiello letterario, si conferma uno scrittore con le palle. Il suo romanzo, pubblicato da Feltrinelli, si beve come una tazza di latte caldo mescolata col miele prima di andare a letto: ristora l’anima. E non solo perché ci riporta al tempo lontano – per chi l’ha già vissuto – del primo grande amore, o infonde una concreta speranza per chi lo deve ancora vivere. Quell’amore fatto di batticuori e di notti insonni, quello dove ogni cosa ti porta a pensare alla persona amata, soprattutto la musica: «metti le cuffie e ogni canzone arriva all’orecchio come scritta un minuto prima, al corrente di te, di voi, di un vostro potenziale futuro».
Siamo nel 2013 nella Roma che si appresta a vivere lo storico momento dell’esistenza in contemporanea di due Papi. Nino, un bel ragazzo, spiritoso e con una promettente carriera di attore davanti a sé, incontra Teresa, dal carattere complicato e imprevedibile, più grande di lui e comunque più matura dei suoi anni. Nino resta naturalmente folgorato dalla ragazza che inizialmente mostra qualche resistenza a lasciarsi andare. Una storia come un’altra, direte. Aspettate.
Stilisticamente raffinato (ormai un marchio di fabbrica dell’autore romano), il romanzo si sviluppa su tre punti di vista, mescolati con sapiente armonia e delicatezza: l’io narrante di Grazia in prima persona, lei che si rivolge ai due ragazzi in seconda persona e il rapporto tra i due ragazzi narrato in terza persona.
Torniamo dunque al perché dell’inganno: in queste centosettanta pagine c’è tanta roba celata da Di Paolo tra le pagine quasi con pudore. C’è innanzitutto la vecchiaia, quella di Grazia, una donna che deve fare i conti prima con il suo fallimento di attrice, ritagliandosi un anonimo ruolo d’insegnante di recitazione per un gruppo di aspiranti interpreti amatoriali, poi con il tempo che scorre inesorabile. «Voi non sapete quanto si vive leggeri senza più ambizioni», ci ammonisce.
C’è il terribile mondo dell’arte e la malinconica vita degli artisti, sempre alla ricerca affannosa di un consenso, un applauso, un successo. Una vita in assoluta simbiosi con il pubblico, perché «è questo pubblico di merda a tenerci vivi, a farci vivi. È incostante, imprevedibile, critico sempre, generoso poco, tuttavia necessario. Siamo tutti uno spettacolo per qualcun altro. (…) Fare spettacolo, esibirsi, è un modo come un altro di chiedere amore».
C’è l’invincibile malattia, la morte e l’inesorabile distacco dalla vita terrena, affrontato dalla protagonista (e si spera imitato il più possibile da chiunque), con impavida determinazione, perché «tutto si mostrava a continuare senza di me. Questo metteva addosso molta rabbia, e insieme una sconosciuta superiore pace».
Non mancano nemmeno la politica (Di Paolo non potrebbe mai rinunciarvi) e la religione. E proprio in una chiesa, Santa Maria della Vittoria, che si svolge una delle pagine più belle del libro, a nostro avviso. Teresa vi trascina qui Nino per mostrargli la splendida “Transverberazione di Santa Teresa d’Avila”, nota anche come l’Estasi, scolpita da Gian Lorenzo Bernini. «Se non avessi creato il Paradiso – legge dall’iscrizione ad alta voce Teresa –, lo farei anche ora solo per te. Sembra una dichiarazione d’amore, ha detto Nino. È una dichiarazione d’amore, ha detto Teresa».
Paolo Di Paolo è una delle voci più belle dell’attuale panorama letterario italiano, non lasciatevelo sfuggire.