“Riso fuori sede” di Silvia Rizzello
Antonio V. Gelormini | 22 August 2016

riso 1“La vidua! La vidue?” Il grido allarmato riecheggiò, squarciando il silenzio ovattato e accidioso di una mattina d’agosto del 1991, circa mille anni dopo il primo avvistamento – “liberatorio” dall’incubo asfissiante dell’assedio musulmano – della potente flotta veneziana al comando del doge della Serenissima Pietro Orseolo II. Questa volta, però, la speranza non albergava tra lo sconforto “a riva” di una città mortificata dall’assedio arabo. Questa volta, la speranza avanzava lenta e inesorabile, vestendo i panni della disperazione e soffocata nel vocio brulicante di una sorta di gigantesco “favo galleggiante”, a bordo di una vecchia nave dal nome glorioso di una delle più antiche capitali albanesi: Valona – Vlora. In questa ciclicità dei corsi e ricorsi storici, che nella millenaria tradizione africana è rappresentata e vissuta nel cosiddetto “Cerchio della vita”, nonché nel contesto temporale di una Bari culturalmente “contaminata”, che in quegli anni è ancor più capoluogo vivace di transito e di frontiera, si dipana l’arazzo letterario e multietnico di Silvia Rizzello:“Riso fori sede” – Kurumuni Edizioni, 2016. Lo spaccato di una città sul mare e non di mare, che ha poco in comune con Marsiglia, Valencia o Genova, ma molto invece con Atene, con Istanbul o con la più lontana Los Angeles. Un quartiere antico, in cui ancora oggi, ogni domenica mattina, è possibile vivere un’emozione devozionale caleidoscopica: pellegrinando tra le diverse chiese di Bari Vecchia concesse – dalla Diocesi Arcivescovile – alle diverse comunità estere, che vi celebrano i loro variopinti e tipici riti religiosi e liturgie.

Un crocevia dove riso e sorriso da sempre sono il lievito per processi di integrazione e di rivisitazioni conviviali innovative: dalla “paella e “cous cous riproposte in versione levantina nel famoso riso patate e cozze” o nella meno conosciuta“semola battuta” (paragonabile anche a una sorta di “polenta meridiana”), ai giocatori in coppia di “taula” o “backgammon” che si moltiplicano sulle panchine improvvisate dei giochi a carte (tresette, briscola, scopone o quintino a perdere)con l’immancabile bottiglia di “Peroncino”.

riso 2Qui, sul lungomare di fronte a quell’orizzonte largo e profondo verso Est e i Balcani, in quegli anni la Casa dello Studente – adiacente alla Facoltà di Economia e Commercio di Largo Fraccacreta – diventa inevitabilmente “un porto sul Porto”, dove la stessa Mensa Universitaria assume i contorni simbolici e subliminali della più nobile forma di accoglienza: “la condivisione”. La casa di Lilou, protagonista del libro della Rizzello, ne diventa appendice spontanea, rendendo permanente l’originale “agorà multietnica”, in cui sogni, progetti, nostalgie e amori si dipanano tra piatti difoutou, riz gras, incrociandosi col rituale intreccio dei capelli o il miscelarsi dialettale degli idiomi. Anche per questo la figura matriarcale “diffusa” di Lilou si sovrappone quasi a quella di Enrico Dalfino, a cui il libro è dedicato, che da Sindaco di Bari raccolse per primo il grido allarmato di quell’8 agosto del 1991, dando insieme all’intera comunità cittadina una testimonianza viva e personificata dell’accoglienza e dell’apertura verso orizzonti non mappati.

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Commenti
Yourcenar549 giorni fa
Un libro che sarebbe utile e necessario far leggere agli adolescenti e agli adulti di oggi, i ragazzi di ieri, che nelle storie che si intrecciano possono riscoprire il “gusto delle differenze” e la ricchezza di una Bari più accogliente.