Ok, d’accordo, caro Jonathan Franzen, bisogna essere sinceri fino in fondo, e ammettere la delusione. Dopo essermi “sciroppato” (quanto mi costa dover utilizzare questo verbo infame, soprattutto con te) le seicentocinquanta pagine del tuo ultimo romanzo (il quinto) dal titolo “Purity”, il senso che ha prevalso è stato quello della delusione. Oltre al dubbio che a scrivere questo tomo sia stato proprio tu: dov’è finito il sublime autore de “Le correzioni” e di “Libertà”? Lento, troppo lento il plot di questo romanzo; per non parlare dello stile, a tratti ridondante e spesso ripetitivo che troppi sbadigli mi ha suscitato durante la lettura. No, non ci siamo. Allora perché recensirlo, vi chiederete? Perché c’è sempre un “eppure”.
La trama è senza dubbio geniale. Costruita a regola d’arte con un intreccio (troppo intrecciato, e qui scricchiola il capolavoro annunciato, che fregatura!) sempre sopra le righe grazie a incredibili personaggi eppur credibili, senza rinunciare mai, come i grandi romanzieri dell’ottocento, da Dickens a de Balzàc, insegnano, al tuo moralismo. Facendolo, e qui sta la bellezza letteraria del testo, attraverso il cambio del punta di vista per ciascuna delle sei parti che lo compongono. Memorabile quello di Purity sul giornalismo, che qualunque collega, compreso il sottoscritto, dovrebbe riscrivere a caratteri cubitali su un cartellone appeso di fronte alla propria postazione di lavoro: «Il paradosso di Internet è che ha reso molto più facile il lavoro di giornalista: n cinque minuti puoi fare una ricerca che una volta avrebbe richiesto venti giorni. Ma Internet sta anche uccidendo il giornalismo. Google può farti sentire molto in gamba ma le storie migliori arrivano quando lavori sul campo. La tua fonte fa un commento casuale, e tu all’improvviso vedi la vera storia. Sono i momenti in cui mi sento più viva. Quando sto davanti al pc, sono viva solo a metà».
La protagonista è una ventiduenne, Purity (ecco spiegato il titolo), detta Pip, aspirante giornalista, brillante, a tratti isterica, a tratti impacciata, ma inguaribilmente idealista («Cinquant’anni di femminismo e le donne seguono ancora gli uomini». Pip è figlia di una madre single, che la copre di un amore a intermittenza e lo sporca con l’azzardo morale, così come lo definisce la ragazza («Nessuna telefonata era completa prima che ciascuna delle due avesse reso infelice l’altra»). Quello che la madre non è capace di dare sono i soldi che servono per l’università della figlia (che è indebitata fino al collo) e di rivelare l’identità di suo padre. Durante tutte le peripezie che la vedranno protagonista, Pip incrocerà Tom e Leila, una coppia di giornalisti, che compenseranno su di lei un trauma che si portano dentro da troppo tempo, e Annagret e Wolf, una coppia ad alto tasso di narcisismo che la coinvolgeranno in un lavoro “estremo”. Tutti i personaggi, Pip compresa, hanno in comune il fatto che odiano il mondo così com’è e vorrebbero rivoltarlo come un calzino. Peccato che cerchino di farlo nel modo sbagliato.
“Purity” risulta avere, alla fine, le ambizioni di un romanzo classico, per la lunghezza, l’intreccio e il messaggio etico, e la funzionalità del romanzo moderno, per i continui rimandi, le divagazioni e per i temi attuali. Un ottimo libro, certo, ma non un capolavoro. E tu, Franzen, resti comunque una delle voci migliori di questo scorcio di secolo della letteratura mondiale (anche se riesci a paracularti mettendo in bocca a uno dei tuoi personaggi la frase: «Tutti questi Jonathan, un’invasione di Jonathan letterari»), dal talento indiscutibile e dalla scrittura potente e immaginifica.