TATABox è una cooperativa che ha inventato uno spazio a misura di studente nel cuore del capoluogo ligure. “E’ un’officina studio, senza orari, o quasi”, dicono. E tutto parte dal DNA
GENOVA – Siamo nel cuore della città, e l’idea è venuta a tre ragazze, Anna, Nadia e Giulia. Oggi, dopo tre anni, si sono inseriti nel progetto due nuovi soci, Alba e Valerio.
“L’idea è nata in un modo molto banale – racconta Anna Loscanzo, 28 anni, presidente della cooperativa Tatabox – Io studiavo ed ero andata a vivere a Bologna. In quel weekend tornai a casa, ma dovevo preparare un esame. Ho iniziato a pensare a quanto fosse scomodo, per chi è abituato a studiare fino a tarda serata, che le biblioteche chiudessero alle sei e mezza del pomeriggio. Ci chiedevamo come fosse possibile che nessuno avesse mai pensato ad uno spazio più funzionale. Ne parlavo con le amiche e ad un certo punto mi sono detta “Facciamolo noi!”. Era la primavera del 2015, e abbiamo iniziato a scrivere il progetto nel garage di Nadia”.
Quel progetto è risultato vincitore del bando CoopLiguriaStartup, di Coopfond e Legacoop Liguria, ed è nata la cooperativa. T-A-T-A è la sigla della sequenza proteica che dà inizio al DNA.
“A noi questa immagine era piaciuta tantissimo, – continua Anna – perché noi stavamo proprio cercando di creare uno spazio che attivasse il potenziale, desse il via a qualcosa, innescasse i talenti. Ci piaceva l’idea di accostare l’immagine del Dna alla genesi della persona, del professionista. E poi “box”, per raccontare il percorso che avevamo fatto, nel garage. È stata un’idea incosciente, poi ne abbiamo fatto qualcosa di completamente diverso, piano piano”.
Oggi le strutture gestite da Tatabox sono due. La prima, in via Fieschi, è in pieno centro ed è legata ad uno dei percorsi tradizionali per gli studenti, vicino alla biblioteca centrale di Genova. Poi c’è il Chiostro, gestito insieme al consorzio Agorà, nel centro storico, la zona più antica, la collina originaria da cui si è sviluppata la città.
Le due strutture hanno in comune l’essere situate in due punti piuttosto dimenticati, esclusi dai percorsi cittadini tradizionali.
All’interno delle strutture, oltre alle aule studio, gli spazi di vendita con cartoleria e copisteria, una ampia zona relax, cucina attrezzata, tavoli dove mangiare, giochi da tavolo.
Gli studenti possono utilizzare gli spazi e i servizi con piccoli costi.
Non facile immaginare di far pagare gli studenti in una parte di Italia notoriamente “taccagna”. “Abbiamo scelto prezzi accessibili, – spiega Anna – costi che normalmente uno studente può affrontare (quanto un biglietto dell’autobus o un caffè, un giornale). Avevamo pochi dubbi sul fatto che gli studenti venissero, perché il bisogno era proprio macroscopico, ed era quasi assurdo che nessuno se ne fosse già fatto carico”.
Gli studenti che si incontrano negli spazi Tatabox sono normalmente ragazzi e ragazze per lo più universitari, di solito maturi e consapevoli. In genere sono persone nella fase finale del loro ciclo, sono quelli che prestano molta attenzione alla loro formazione.
“In Tatabox nessuno è mai da solo: se vuoi stare a studiare in tranquillità, nessuno ti disturberà, ma se ti va di prendere un caffè e fare quattro chiacchiere sai di essere nel posto giusto – prosegue Anna – Da noi sono nate tante amicizie. Sai che entri da solo e conoscerai un sacco di persone, avrai tante occasioni di scambio. E’ il valore che noi diamo allo studio. Noi cerchiamo di ascoltare molto i ragazzi quando entrano, di raccogliere feedback in maniera molto spontanea. E in questi feedback troviamo parole ricorrenti come “dignità”, intesa come rispetto del loro status. Noi siamo profondamente convinti di quanto il periodo universitario sia importante per la persona. Abbiamo creato un ambiente positivo, a differenza di tutta la narrazione che c’è oggi nei confronti dello studio. Le narrazioni online degli studenti hanno tutte un gergo molto povero, e soprattutto spostato sull’area semantica dell’ansia, non ci sono discosti incoraggianti, stimolanti, ispiranti. Noi stiamo cercando di andare in controtendenza, di costruire una narrazione proprio diversa su questo momento, perché chi sceglie di studiare, oggi, sceglie di voler diventare un cittadino un po’ più consapevole”.