Il presidente dell’Alleanza Cooperative Italiane Lusetti: “Abbiamo 250 mila migranti che rappresentano il 22% degli occupati delle nostre cooperative. Rifiutiamo l’idea di uomo solo al comando”
Sono tanti gli immigrati che scappano da guerra e povertà e arrivano sulle nostre coste alla ricerca di un futuro migliore. All’alba di una nuova politica internazionale fatta di muri di intolleranza ed estremismo, la macchina dell’accoglienza continua comunque la sua funzione attraverso i centri e le cooperative predisposte a questo ruolo. Una realtà che spesso nasconde ancora molti punti oscuri e fa nascere molte perplessità. Ha un quadro generale della situazione Mauro Lusetti, presidente dell’Alleanza Cooperative Italiane (coordinamento nazionale costituito dalle Associazioni più rappresentative della cooperazione italiana Agci, Confcooperative, Legacoop) e numero uno di Legacoop.
Presidente stiamo assistendo a un cambio generale nelle politiche internazionali nel quale prevale il modello di uomo solo al comando in totale contrapposizione con il modello da voi proposto fondato sulla cooperazione e collaborazione, come vi ponete?
Il problema che la nostra società sta affrontando è di particolare importanza. Le grandi certezze che avevamo e che abbiamo costruito nel corso degli anni, dalla globalizzazione economica all’Europa unita, sono state messe in discussione. L’elezione del presidente Trump in America ha segnato un momento fondamentale nella società insieme alla volontà del popolo inglese di voler uscire dal’Europa con la Brexit. In questo contesto di grande confusione il movimento cooperativo rappresenta un elemento di forte tenuta da un punto di vista democratico e sociale. Rifiutiamo l’idea di uomo solo al comando ma al contrario siamo portatori di valori diversi fondati sulla democrazia. I nostri leader sono frutto di controlli e verifiche. Come diceva il nostro ex presidente Barberini: “Eleggete tra di voi il migliore, ma controllatelo come fosse il peggiore”.
Questa politica di chiusura e intolleranza potrebbe prendere piede in vari paesi dell’Europa, siete pronti ad affrontare questa possibile chiusura?
Ci auguriamo che questo non accada e che l’Italia sul piano politico continui ad avere un profilo alto per l’accoglienza e l’inserimento. Nel mondo servono ponti e non muri. Di certo questa politica di chiusura non potrà fermare l’ondata di persone che scappano dalla guerra e da situazioni di povertà. Abbiamo 250 mila migranti che rappresentano il 22 per cento degli occupati delle nostre cooperative. Abbiamo rifiutato la logica dei grandi centri di accoglienza (Cara) e preferiamo un diverso tipo di servizio e supporto destinato ai richiedenti e ai titolari di protezione internazionale, lo Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) che è più a dimensione umana e ci consente di fare una vera politica di accoglienza.
Ma quanti immigrati si inseriscono realmente nel nostro paese?
In ogni centro di accoglienza arrivano migranti da vari paesi, di varie nazionalità, per esempio in una abbiamo lavoratori che arrivano da 35 paesi diversi. Possiamo però parlare di risultati estremamente positivi. Se si rispettano le nostre leggi e si creano condizioni affinché il migrante possa esprimere la sua cultura, gli esiti sono di una grandezza straordinaria. Le politiche di integrazione dimostrano che se al centro metti la persona riesci a raggiungere risultati incredibili. I nostri obiettivi principali sono offrire misure di assistenza e di protezione al singolo beneficiario e favorirne il percorso di integrazione attraverso l’acquisizione di una ritrovata autonomia.
C’è molta confusione e anche molti pregiudizi su come funziona la macchina dell’accoglienza. Nell’opinione pubblica c’è l’idea che ci siano molti sprechi o che i fondi non siano utilizzati nel modo giusto.
Questo è un tema molto delicato, la ringrazio per questa domanda perché mi preme fare molta chiarezza su questo punto. Nell’opinione pubblica c’è l’idea che le politiche di accoglienza arricchiscano le cooperative. Le spiego: se consideriamo 100 il totale dei migranti che arrivano nel nostro paese le cooperative (che fanno riferimento all’alleanza) non gestiscono in termini di accoglienza più del 20 per cento. Il restante 80 per cento viene gestito da persone o società che non hanno niente a che fare con il nostro movimento. Inoltre noi non gestiamo, come ho detto pocanzi, i centri di grande accoglienza con migliaia di persone, ma ci concentriamo sulla rete di centri Sprar e non ci poniamo solo il problema dell’accoglienza, ma anche dell’inserimento.
Quindi i fondi destinati come vengono gestiti e soprattutto bastano?
Nell’emergenza dei migranti siamo chiamati a gestire situazioni di allarme, e sono le cooperative che spesso fanno da cassa allo Stato, quindi ciò che contribuisce a una inefficienza sono i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione. Ritengo che su questo versante ci sia molto da fare e soprattutto è nostro compito fare corretta informazione di quello che quotidianamente si registra nella gestione di queste vicende.
Lei ha dichiarato due anni fa, quando è diventato presidente di Legacoop, che ha dovuto indossare l’elmetto. Il movimento cooperativo, anche in ambito di immigrazione, è stato, infatti, protagonista di diverse vicende scomode. Indossa ancora l’elmetto?
Certo, l’elmetto non bisogna mai toglierlo, perché viviamo in tempi molto complessi da leggere e da interpretare. Abbiamo iniziato come nuovo gruppo dirigente Lega Coop due anni fa e ci siamo subito trovati di fronte all’emergenza della legalità che aveva colpito alcune delle nostre cooperative, poche, ma per noi troppe.
Come presidente qual è il suo atteggiamento nei confronti di queste situazioni, è da qui che nasce questo sentimento negativo nell’opinione pubblica, ne siete consapevoli?
Guardi io sono molto sereno, in questi due anni abbiamo recuperato il senso per la responsabilità personale di chi dirige, accompagnato le cooperative ad assumere atteggiamenti di forte contrasto, avviato serie responsabilità nei confronti degli amministratori, sospeso ed espulso persone. Abbiamo ottenuto di essere ammessi come parte lesa al processo di Mafia Capitale. Posso dire con certezza che oggi disponiamo di una serie di strumenti che ci permettono di agire quando capiamo che c’è qualcosa che non funziona.
Nel 2014-2015 il nostro gradimento verso l’opinione pubblica era sceso vertiginosamente, eravamo in caduta libera, nel 2015 attraverso un istituto di ricerca che periodicamente misura questo indice abbiamo constatato che siamo ritornati oltre il 50 per cento. Probabilmente questa nuova politica di trasparenza e legalità ci sta aiutando.