L’analisi del prof. Pierpaolo Pontrandolfo del Politecnico di Bari dei dati emersi dal Tecnology Report 2017. E su Taranto: “Dovremmo puntare a essere pionieri in campo di bonifica e sostenibilità ambientale”
BARI – Scienza, tecnologia, ricerca e innovazione sono il percorso per agganciare la crescita che in uno scenario globale, europeo e nazionale difficile, secondo il Fondo Monetario Internazionale, il Pil globale crescerà quest’anno del 3,4%, per avanzare nel 2018 a + 3,6. Dalle indicazioni del campione delle imprese della survey 2017 della Community Innotech emergono elementi che da un lato confermano la presenza di elementi di solidità dell’eco-sistema italiano dell’innovazione, dall’altro evidenziano ambiti che andrebbero migliorati.
L“ecosistema” secondo il Technology Report racchiude cinque aree complementari di indagine: capitale umano, risorse a disposizione dell’innovazione, ambiente innovativo, attrattività e efficacia dell’ecosistema. Ognuna di queste è a sua volta analizzata in base a 14 indicatori (numero di brevetti per abitanti, risorse per Ricerca&Sviluppo, Venture Capital attivi, ecc.): il risultato è che l’Italia è agli ultimi posti di questa classifica dell’innovazione mondiale: con 3,57 si piazza appena dietro alla Spagna, ma ben più arretrata di Germania (5,83) e USA (5,80) e del leader europeo, la Svizzera (6,27). In testa spiccano, la Corea del Sud (6,65) e Singapore (7,04). Abbiamo chiesto al prof. Pierpaolo Pontrandolfo , ordinario di ingegneria economico-gestionale, Dipartimento di meccanica, matematica e managment di Bari, di interpretare alcuni dei dati emersi dal Tecnology Report.
Il sistema industriale italiano non è innovativo abbastanza. Quali sono le ragioni ostative?
Il nostro tessuto imprenditoriale è costituito prevalentemente da piccole imprese, le quali hanno una limitata forza economica per investire in ricerca privata. Purtroppo, negli ultimi anni il tessuto si è impoverito di alcune delle poche realtà economiche medio-grandi dotate di una maggiore capacità di investimento in ricerca e sviluppo. Si potrebbe far fronte al problema delle capacità innovativa delle nostre imprese facendo leva sul trasferimento dei risultati della ricerca pubblica, che invece riesce a essere estremamente competitiva a livello internazionale, in prodotti o servizi utili per la collettività.
Come si potrebbe superare questo problema di interfaccia tra i due mondi?
Si dovrebbe intervenire sui criteri di valutazione accademici, attualmente centrati quasi esclusivamente sulle pubblicazioni scientifiche, ciò che non incentiva i ricercatori a dialogare con il mondo delle imprese. Sarebbe utile, nella carriera dei ricercatori, incentivare promozioni che tenessero conto dell’impatto che gli esiti delle ricerche hanno sull’innovazione. Mi rendo conto che questo è un problema complesso, soprattutto per le discipline (ad es. quelle umanistiche) meno connesse con l’innovazione, tuttavia penso che il problema vada posto e considerato.
Forme di lavoro ad alto contenuto tecnologico, tipo lo smartworking o crowdworking, tramite i quali si entra in fabbrica da casa con uno smartphone in qualsiasi momento e parte del mondo, hanno reso il lavoro più flessibile ma anche più precario. Sono saltate le tutele che i lavoratori avevano conquistato. È come se si fosse tornati indietro nel tempo, in cui il lavoratore non ha un orario di lavoro definito, potrebbe essere fatto fuori dal luogo di lavoro con un clik”.
L’innovazione tecnologia rappresenta ancora un’opportunità o bisogna pensare a un nuovo statuto dei lavoratori?
L’innovazione è sempre un fatto positivo perché offre l’opportunità di migliorare la qualità della vita delle persone. La ricchezza globale infatti è cresciuta e al contempo, crescendo la produttività, si è altresì ridotta la necessità per l’uomo di lavorare. Bisogna paradossalmente pensare a una nuova ripartizione del lavoro, per consentire a tutti di avere un ruolo sociale, e a nuove forme di occupazione, per conciliare meglio tempo di lavoro e tempo per la famiglia.
Taranto, sito siderurgico tra i più importanti in Europa, insieme al complesso industriale dell’Ilva sta attraversando una profonda crisi occupazionale. Quali nuovi sbocchi si potrebbero immaginare?
Ritengo che l’area ionica sia una un laboratorio di ricerca a cielo aperto. Si potrebbero sperimentare nuovi approcci per la bonifica coinvolgendo più settori della ricerca, dall’ingegneria, alla fisica, alla chimica. Potremmo studiare e mettere in atto nuove tecniche di produzione sostenibili. Cogliere questa crisi come un’opportunità per reinventare, imparare e mettere a punto nuove tecniche da esportare in altri siti che sono o saranno interessati da crisi analoghe. Dovremmo puntare a essere pionieri in campo di bonifica e sostenibilità ambientale.
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