Lo slalom speciale è una disciplina meravigliosa. Una corsa tra paletti sempre più stretti che richiede abilità e resistenza fisica. Un Paese democratico come l’Italia non poteva certo riservare il brivido di un percorso ad ostacoli solo a una ristretta elìte di atleti.
Lo slalom è lo sport nazionale per chi è costretto a misurarsi con gli atti amministrativi, siano essi decreti, ordinanze ministeriali, concessioni, autorizzazioni, abilitazioni, finanche “semplici” pareri; perché gli ostacoli che incontra il destinatario dei provvedimenti prima di arrivare al traguardo (cioè al contenuto) sono come i paletti snodabili che affrontano i campioni dello sci. In un percorso disseminato di “considerato, preso atto, ritenuto, valutato, sentito”, ci sono poi i paletti più insidiosi, solo apparentemente innocui, quelli che gli sciatori sottovalutano e sui quali magari finiscono per schiantarsi: i “visto”.
Il visto è il re incontrastato del linguaggio della nostra pubblica amministrazione. Il visto rassicura il burocrate ministeriale, lo accarezza come lo shampoo di Giorgio Gaber, lo fa sentire nel suo habitat naturale, fatto di rimandi, rinvii e richiami infiniti ad altri decreti, ordinanze e provvedimenti. Il “visto” è democratico: non si nega a nessuna delibera amministrativa, è sufficientemente neutro, come si conviene a un potere non sempre convinto di ciò che emana; il visto non ha colore e non impegna, attesta. E’ il marchio di un Paese avvitato su se stesso, che non prende posizione ma rinvia, discute, rielabora, programma e ridefinisce obiettivi.
Il visto sa essere anche prolifico e produrne altri; un decreto ministeriale contiene a normalmente decine di “visto”; ma ciascuno dei decreti richiamati nel “visto” contiene a sua volta altre decine di “visti” preliminari. E così all’infinito in un sistema amministrativo di scatole cinesi che, peraltro, consentono infinite scappatoie o opportunità di contestazioni.
Tra i tanti, il decreto per gli esami di Stato 2019, il D.M. 769/2018, è un esempio di sobrietà e chiarezza, come si addice al ministero culla della cultura: 27 “visti”, ben distribuiti tra “visto”, “vista” e “viste” (per concordare al maschile, al femminile singolare o plurale l’oggetto della visione) ai quali seguono tre “considerato” (vogliamo privarci delle considerazioni?); e poi un “ritenuto”, che è qualcosa di più di un “considerato” e qualcosa di meno del successivo “assunta la necessità”; Ed ecco un nuovo “Vista la nota numero…”, e un imperioso “preso atto della nota” … cui segue un non meno austero “dato atto che …”
Fiduciosi che vi sia una sostanziale differenza tra “vista la nota, preso atto della nota e dato atto della nota ”, arriviamo al traguardo del decreto tanto atteso dai docenti… : “Ai sensi dell'articolo 17, commi 5 e 6, del decreto legislativo …, sono adottati i quadri di riferimento … definiti, rispettivamente per la prima e la seconda prova, agli allegati A e B” . Tutto chiaro? Certamente meglio dei precedenti omologhi decreti dei Ministri della Pubblica Istruzione in occasione degli esami di Stato, passati dai 55 “visto” del Ministro Giannini, divenuti 57 nel 2015, poi 58, fino al record tuttora imbattuto del Ministro Fedeli (2017) con 59 “visto”.
Ammesso che si arrivi vivi al contenuto del decreto, vi si arriva molto stanchi. Cinquantacinque visti da superare prima di arrivare al traguardo sono 55 paletti di slalom per uno sciatore prima del traguardo: si rischia di uscire di gara prima del previsto. Certo, se i professori del sud, invece di perdersi nelle mollezze cui sono adusi, si impegnassero di più, conoscessero il senso del sacrificio come richiede il Ministro Bussetti, forse riuscirebbero agevolmente a superare lo slalom dei visti e arrivare al traguardo per capire come è innovato l’esame di Stato di quest’anno. Ma temo che questi fannulloni di docenti meridionali, appesantiti da caciotte e primitivo, si schianteranno sul palo del 17° visto e non andranno oltre.