Si presenta come una manovra ambigua, passata quasi sottobanco in un momento di eccessiva visibilità della Lega, quella della cosiddetta autonomia differenziata o, sarebbe meglio: rafforzata che alcune regioni del Nord perseguono allo scopo di attuare nei fatti quel secessionismo che, nei decenni scorsi, non è andato in porto. Mascherando la propria velleità secessionista, la Lega, che ha cancellato dal suo nome l'apposizione Nord, presentandosi come partito aperto ai problemi dell'Italia intera, ma riuscendo a parlare alla pancia degli italiani grazie alle pulsioni razziste e alla paura infondata, sta cercando di far passare l'attuazione di quelle misure candidate a condannare il Sud in maniera definitiva.
Questo attacco all'unità del Paese preoccupa anche la Chiesa, che avverte il rischio di una frattura insanabile che danneggerebbe gravemente il Sud attraverso le parole di monsignor Filippo Santoro, nella sua veste di presidente della commissione episcopale della Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace della Cei, cui ha replicato, piccato, la stampa leghista.
Le Regioni, entrate in funzione negli anni Settanta, non sono andate in questa direzione, non hanno fatto bene al Paese (questo lo afferma anche la mozione approvata in Consiglio regionale!), e sono in molti a sostenere che i guai economici e il grande deficit pubblico sono nati proprio con la partenza delle autonomie regionali, che avrebbero dovuto esaltare le potenzialità, ma non hanno fatto altro che evidenziare il carattere deteriore della politica, soprattutto facendo leva sulla sanità, che ha drenato ingenti ricchezze, molto spesso gestite in maniera illecita.
Ma molte altre cose vanno considerate, ad esempio: che lo sviluppo indotto degli anni Ottanta, quello della cosiddetta Milano da bere, o del cosiddetto “edonismo craxiano”, (espressione che scimmiottava, quella in uso, in quegli nani, di “edonismo reaganiano”) ovvero quel liberalismo assistito che tanto male ha fatto all'economia globale, fu incentivato da tutta una serie di misure pubbliche, come gli incentivi alle imprese del Nord che in alcuni anni raggiunsero l'86% degli investimenti pubblici, facendo leva sulle leggi scritte per il Sud, come la 181 per la reindustrializzazione delle aree siderurgiche in crisi. Come a dire che tutto quello sviluppo delle piccole e medie imprese del Made in Italy, non era solo frutto di capacità imprenditoriale del Nord, i cui operatori si sono guardati bene dal difenderlo quando si è prospettato loro il facile guadagno con il trasferimento delle imprese nei paesi dell'Est, che incentivavano il profitto, soprattutto facendo leva sui bassi salari.
C'è invece chi colpevolizza il Sud, sostenendo che la colpa del mancato sviluppo sia connessa alla presenza della mafia, che però negli anni ha contribuito soprattutto allo sviluppo del Nord, investendoci enormi risorse, e ma non si chiede mai, se vi è stata una trattativa Stato-mafia, chi ne abbia goduto gli effetti maggiori, se il Nord che andava per la sua strada, o il Sud, vittima e non certo complice delle organizzazioni mafiose, cui molte amministrazioni hanno volentieri lasciato al il compito di gestire le risorse, spesso anche la politica e la “sicurezza”!
Il ragionamento razzista uniforma le coscienze: chi spara contro l'Europa è lo stesso che spara contro gli immigrati, contro le regioni meridionali, contro i poveri. L'optimum, per Zaia e compagni, sarebbe quello di tornare al Lombardo-Veneto, in un mondo ideale in cui l'Italia fornisce sono i malati da curare con le borse delle regioni d'origine, gli studenti universitari da spremere nelle pletoriche cittadine che senza i nostri figli sarebbero cancellate, gli operai meridionali e stranieri da sottopagare, i consumatori delle grandi catene commerciali che drenano soldi in tutt'Italia e li rimandano lì.
La protervia dei ricchi, che vogliono distanziarsi preconizzerebbe una realtà in cui tutti gli italiani si trasferiscono al Nord abbandonando il Sud (cosa che purtroppo sta già avvenendo!), che, per conto loro, potrebbe anche svuotarsi e desertificarsi.
Non si capisce come facciano tanti cittadini del Sud, che si fanno incantare da ideali suprematisti, a non comprendere che il regionalismo differenziato preteso dalle regioni più ricche, è un pericolo incombente e grave, che fa leva sul momento di crescita delle pulsioni suprematiste e di estrema destra per accettare tutto quanto proposto da un partito condannato per il furto di 48 milioni di euro.
Si deve considerare, infatti, che sono le regioni italiane più ricche, cioè quelle che stanno meglio da tutti i punti di vista, quelle che chiedono di avere più risorse e autonomia per stare ancora meglio!
Dovrebbero essere le regioni del Sud, invece, con giusta ragione, a rivendicare la perequazione degli investimenti che, soprattutto per la Sanità, hanno privilegiato in maniera smaccatamente discriminante il Nord a danno del Sud. E non dico un'eresia fantasiosa, perché un'iniziativa politica in tal senso fu anche presa dall'ex ministro della Sanità del governo Ciampi, Mariapia Garavaglia (per altro milanese), che si batté per stanziare un fondo perequativo, allo scopo di sanare il ritardo provocato o consentito da un po' tutti i governi a danno delle regioni meridionali, sostenendo che era stata perpetrata un'ingiustizia assoluta. Ma non ci riuscì, pur dimostrando che al Sud la medicina è stata sempre penalizzata, per tutta una serie di motivi, a partire dalla presenza dei grandi potentati che hanno prodotto l'indiscriminata creazione di facoltà sanitarie in tutto il Centro Nord (23), rispetto al Centro Sud (14); (e Roma da ne vanta da sola 5), ma ha anche provocato il numero chiuso delle facoltà che ora sta privando il Paese di medici. Chiudersi, arroccarsi non ha mai prodotto che danni!
Svimez ha fatto i conti in tasca alle famiglie del Sud e ha sostenuto che esse mandano al Nord almeno tre miliardi di euro per mantenere agli studi i propri figli che scelgono di studiare al Nord, per godere i vantaggi indubbi che quelle università e i loro territori hanno. Una cifra allarmante ma che secondo noi è anche inferiore alla realtà perché si riferisce al saldo migratorio, ma non tiene conto degli andamenti scolastici, dei ritardi degli abbandoni e soprattutto delle povertà di ritorno: i nostri figli portano ricchezza al Nord e impoveriscono le nostre regioni. Ma per alcune realtà, come la Basilicata e la provincia di Taranto (dove l'emigrazione verso il Nord supera il 50%) le cose vanno ancora peggio.
Vogliamo parlare delle Ferrovie? Nel 2015 in un articolo apparso sul “Mattino”, a firma di Marco Esposito, si denunciava l'aberrante disparità di investimenti che venivano effettuati dalle Ferrovie tra il nord e il sud Italia. Infatti su quasi 5 miliardi di euro a disposizione, solo 60 milioni (1,2%) erano destinati al meridione. E solo dopo il disastro della Bari-Barletta ci sono stati stanziamenti (ancora tutti da spendere) per complessivi 2 miliardi. Questo divario è palesemente visibile. Sono in aumento i treni ad alta velocità al nord, con miglioramenti alle strutture ferroviarie, mentre in continua diminuzione sono i treni intercity e regionali al sud. Le strutture sono fatiscenti, molte persino non elettrificate e a binario unico.
Il discorso potrebbe ancora essere molto lungo e riguardare, ad esempio, la scuola, che secondo il Nord la penalizza perché il Sud ha più insegnati e spende di più. Anche perché al Nord chi sceglie di lavorare a scuola è considerato un cretino e/o un meridionale. E infatti il Lombardo-Veneto vuole ridare dignità ai suoi insegnanti, ma solo a quelli “INDIGENI”, aumentando gli stipendi! Come dire: è giusto pagarli di più, ma solo se sono “nostri”! Perché prima di “Prima gli italiani!”, viene: “Prima gli altitaliani!”.