La notizia di ieri della devastazione della redazione napoletana del quotidiano Roma deve essere analizzata da più parti. Ovviamente le prime parole devono essere di solidarietà al direttore Paolo Clemente e a tutti i giornalisti e poligrafici che, in cooperativa, con grande sforzo umano e professionale assicurano l'uscita quotidiana dello storico giornale. Roma è stato fondato nel 1862 e ha visto nella sua travagliata storia - come travagliata è la storia del giornalismo in Italia - anche l'impegno editoriale di Giuseppe Tatarella. Ovviamente, ancora, altre parole devono essere di pungolo alla Magistratura affinché conduca indagini veloci e determinanti capaci di permettere ai giornalisti e ai poligrafici di tornare a lavorare in serenità.
Ma, al di là di queste parole che, c'è da sperare, siano tante e anche provenienti dal mondo della politica, va fatta una considerazione: la stampa non è morta e fa ancora paura. Se persone - mafiosi, delinquerti comuni, tirapiedi di politici, servizi segreti? - si sono introdotte come ratti di notte per “rovistare senza rubare” nella sede di Napoli del quotidiano, vuol dire che la stampa ha ancora quello straordinario valore sociale utile alla democrazia: far paura a chi agisce vigliaccamente; chi teme i contrappesi della democrazia. Far paura a chi teme il confronto civile alla luce del giorno.