Quando ci confrontiamo con i promotori delle cooperative che partecipano ai bandi Coopstartup, così come introduciamo il concetto di propensione al rischio (atteggiamento presente nell’imprenditore), proponiamo una riflessione sulle conseguenze del fallimento, non solo né principalmente in senso giuridico.
Secondo una definizione della Treccani, il fallimento deriva da un esito negativo, disastroso, da un grave insuccesso, riconoscendo l’inutilità dei propri sforzi, l’impossibilità e l’incapacità di raggiungere gli scopi fissati, rinunciando definitivamente alla lotta, all’azione. È spesso conseguenza di un grave sbaglio, inteso come un errore di valutazione o di giudizio; un modo di agire, di comportarsi contrario all’opportunità e alla convenienza; una decisione poco felice, una scelta non soddisfacente. Nella nostra cultura, contrariamente a quanto avviene in quella anglosassone, spesso il fallimento e l’errare sono considerati peccati, più o meno veniali quando non mortali.
L’errore può essere visto come fallo, colpa, peccato (Treccani). È evidente che, da un punto di vista giuridico, il fallimento (quando relativo ad un’impresa) ha conseguenze gravi per chi lo ha causato, specialmente se ha provocato danni ai terzi. Fino a poco tempo fa produceva pene non trascurabili, indipendentemente dalla gravità dei danni prodotti. La nuova normativa ha attenuato queste punizioni talvolta eccessive.
Conseguentemente, la concezione “peccaminosa” del fallimento ha anche prodotto comportamenti devianti in imprenditori che, trovandosi in difficoltà economica e gestionale, hanno preferito nascondere nel tempo questa loro situazione per evitare di incappare nel fallimento, moltiplicando gli effetti negativi del loro agire e provocando danni molto più gravi ai terzi con cui avevano relazioni contrattuali e a se stessi. Prima o poi non si riescono a nascondere le difficoltà, che vengono drammaticamente a galla.
Detto ciò però, effettuare valutazioni sbagliate, trovare soluzioni non vincenti, fallire alcuni obiettivi ed altro rientrano nella normalità della vita di un imprenditore. Anche nel fare impresa così come nella vita delle persone, se non ci si nasconde e si affrontano le differenti situazioni con spirito critico e con la curiosità del capire, si può imparare molto dagli insuccessi così come dai successi. Anzi verrebbe da dire: più dagli insuccessi che dai successi, perché ci obbligano a sviluppare un pensiero laterale, a trovare soluzioni alternative, a rivoluzionare il nostro piano di impresa. Questo è uno dei significati che cerchiamo di trasmettere ai giovani che si propongono di creare startup cooperative.
Non consideriamo quindi gli errori e i fallimenti come peccati mortali irreparabili, ma come un’opportunità per chi agisce, cercando di evitare di farci troppo male e di fare male agli altri. Evitiamo di mettere la testa sotto la sabbia facendo finta che tutto vada bene quando così non è. Esaminiamo criticamente le cause che li hanno provocati e troviamo soluzioni per superarli ed evitarne la ripetizione.
Non è facile, anche perché affrontare il fallimento ha risvolti psicologici non banali. A volte si può creare un circolo vizioso perché a fronte di un fallimento prevale la paura di sbagliare e ciò può favorire la ripetizione dell’errore. Per non parlare del condizionamento culturale a cui si faceva cenno prima, per cui socialmente il “fallito” è marchiato negativamente e non gli si concedono grandi chance di successo.
Proviamo a pensare agli errori e ai fallimenti della nostra vita (chi non ne ha, scagli la prima pietra!) e a quanto abbiamo imparato da queste esperienze. Proviamo per ultimo a pensare se, con l’esperienza acquisita, abbiamo ripetuto quegli errori o vissuto altri fallimenti in modo simile. Viviamo, quindi, queste situazioni con fiducia come una possibilità di miglioramento.