La scuola pubblica italiana non ha bisogno di una ennesima riforma che si pone l’obiettivo di cancellare ciò che è stato. Un ulteriore provvedimento di tale natura aumenterebbe il disordine normativo già eccessivo. Occorre invece partire dall’impianto esistente semplificando, prima di ogni altra cosa, il quadro di riferimento normativo troppo frammentario denso di norme che in alcuni casi configgono tra loro. Si tratta di riprendere il lavoro svolto nella XVI Legislatura che aveva visto la formulazione di un testo unificato condiviso da un ampio arco di forze politiche e che poi per questioni di tempo non è stato portato a termine. Ma si tratterebbe anche di dare seguito alla delega contenuta all’art. 1 c. 181 della legge 107/2015 relativa al riordino, attraverso la redazione di un nuovo testo unico, delle disposizioni normative in materia di sistema nazionale di istruzione e formazione.
Quindi modificare ciò che non va bene e ciò che ha creato disordine nella scuola, specie con l’emanazione della legge 107/2015. Per realizzare le modifiche è indispensabile dare valore e significato all’intera “comunità educante”, rendendola protagonista e non spettatore, così come scritto nel contratto appena rinnovato. Ci sono obiettivi e priorità chiare per la scuola pubblica italiana: bene comune che appartiene all’intero paese. Ridare dignità sociale, valoriale e retributiva al personale tutto; mettere fine al contenzioso riguardante l’assunzione dei docenti diplomati, questione che implica una riflessione più complessiva sulle modalità con cui formare e reclutare il personale, contrastando con più efficacia la precarietà del lavoro; risolvere il problema posto dal comma 131 della legge 107 (divieto di lavorare per oltre tre anni con contratto a tempo determinato), scongiurando gli effetti perversi che la norma potrebbe produrre: si rischia infatti di far ricadere sul lavoratore, privandolo della possibilità di ulteriore assunzione, le conseguenze di un deprecabile abuso dei rapporti di lavoro precari; favorire la stabilizzazione dei lavoratori della scuola eliminando il precariato; continuare il confronto per la sottoscrizione di un contratto integrativo sulla mobilità in grado di considerare le esigenze di tutti; continuare il confronto per il rinnovo del contratto dei Dirigenti Scolastici; invertire la logica del contenimento della spesa autorizzando organici che non devono essere calcolati solo sulla base della popolazione scolastica.
Per fare tutto questo servono ulteriori risorse umane e strutturali. Solo così sarà possibile: assicurare la vigilanza nelle scuole; gestire il funzionamento delle segreterie che hanno carichi di lavoro sempre maggiori; manutenere laboratori acquistati con finanziamenti della comunità europea ed in molti casi non più fruibili; garantire il diritto allo studio dei diversamente abili; favorire la diminuzione del numero di alunni per classe; combattere la dispersione scolastica e il disagio giovanile; educare giovani e famiglia ad una cittadinanza attiva e consapevole; rendere la scuola vero punto di aggregazione per il territorio.
Si tratta di una sfida importante ma non più differibile nel tempo. La comunità educante (personale, alunni, famiglie, amministrazione, istituzioni) è l’unico strumento idoneo ad arginare una deriva che si manifesta sempre più spesso con episodi di violenza inaudita