Le cooperative, anche quelle sociali, sono imprese e non opere pie
Gianni Svaldi | 21 November 2017

Questa è la storia di un matto, di una comunità e di un Paese che stenta a riconoscere il valore della cooperazione.
Prima viene il matto. Erano gli anni ’80 quando sparì dal suo paese in Val Cavallina, nel Bergamasco, per andare a Parigi. Le ultime vicende della sua vita lo suggerivano. Forse lo imponevano. Il troppo studio, una donna sbagliata, lo avevano spedito in Francia, lì dove altri poeti maledetti avevano trovato un ponte sotto cui dormire, e ispirazione.
Benedetto Croce diceva che “sino a diciotto anni tutti scrivono poesie; dopo, possono continuare a farlo solo due categorie di persone: i poeti e i cretini”. Il bergamasco cretino non era, anzi. Ma, un po’ per amore e per il forte studio, – raccontano qui – matto lo era diventato sul serio. Fu ritrovato 4 mesi dopo quasi morto di stenti e riportato a casa. Per sua fortuna però aveva tanti amici nel suo paese del Bergamasco e tutti conoscevano la sua storia e quello che stava passando. Ora la storia del matto si mischia con quella della comunità. I suoi amici costituiscono una cooperativa per aiutarlo, per dargli un lavoretto che paghi il suo cibo e i molti vizi. Ma poi si dicono: perché non la usiamo anche per dare un lavoro a Marco e a Camilla? Arrivano i contratti con il Pubblico e il privato. In 20 anni di lavoro ne è uscito tanto. E la cooperativa, che si chiama L’Innesto, ora dà occupazione a 80 persone, ha un giro di affari di 1,5 milioni di euro e ha sede a Gaverina Terme dove sino a due decenni fa la più grande impresa era quella della produzione dell’acqua minerale. Il presidente è Lodovico Patelli. Ho conosciuto lui e tanti soci della cooperativa quando mi ha invitato a moderare una tavola rotonda sulla gestione del bene comune e sulla cooperazione. Roba seria, organizzata per ragionare sul futuro e non cincischiare.

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Il Bel Paese e l’avversione al cambiamento

L’Italia è più attenta alla morale comune che al benessere dei suoi cittadini. Siamo in un Paese che non vuole cambiare, dove Nord e Sud hanno passi diversi. Questo piace alla cattiva politica e al malaffare (che a volte sono la stessa cosa). Quelli che sono uguali lungo tutto lo stivale sono i cattivi rapporti tra il cittadino e la burocrazia, con lo Stato, che opprime chi lavora onestamente. Come nella fattoria degli animali di Orwel l’Italia favorisce i tanti Napoleone, maiale opportunista capace di persuadere gli animali meno intelligenti; e opprime e tartassa i Boxer, cavallo la cui filosofia si basa sulla dignità del lavoro. Così, la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione (art. 45 della Costituzione) ma di fatto il cooperatore in Italia non viene visto come un innovatore, imprenditore con una spiccata propensione sociale: piuttosto è considerato dalla Pubblica amministrazione una sorta di dama di carità che risolve problemi sociali sul territorio, ma vive di soddisfazioni. Questo è un punto che affligge Nord e Sud: il Bergamasco, dove il tasso di disoccupazione è sotto il 6% (lo dice l’Eco di Bergamo) e, la Puglia dove sfiora il 19% e quella giovanile è attestato al 50 per cento.
Un esempio di quanto sia difficile fare impresa sociale è chiuso nella vicenda de “La casa del pescatore”: la cooperativa L’innesto sta conducendo una battaglia per continuare a gestire questa struttura sulle rive del lago di Endine (nel Bergamasco). Sull’area di 7000 mq sorge un ristorante e una stazioncina balneare. Dopo decenni di gestione durante i quali Lodovico, il vicepresidente Francesco, Chiara, Lorenzo e gli oltre 200 soci della cooperativa hanno dato valore al bene comune, oggi devono esercitare il diritto di prelazione per strappare la struttura ai business-men internazionali che già ingoiavano saliva al sol pensiero di gestire – con pochi soldi – una struttura avviata da altri.

La burocrazia cieca e la Politica del bradipo

 

Adriano Olivetti che non era a capo di una cooperativa ma si esprimeva come il migliore dei cooperatori diceva: “La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica”. La cooperativa, anche quella sociale, ridistribuisce ricchezza, cultura, servizi, democrazia ma è pur sempre una impresa. L’Italia, però, ha dimostrato di essere più attento alla morale comune che alla persona: il matrimonio riparatore viene cancellato solo nel 1981 dalla legge 442 del 5 agosto. Solo 7 anni prima si tiene il referendum sul divorzio (1974), 6 anni prima la riforma del diritto di famiglia (1975) e il referendum sull’aborto. Si dovrà attendere il 1996 (quando sono già nati i più giovani lettori di Radici Future Magazine) perché lo stupro venga considerato non più un reato “contro la morale” bensì un reato “contro la persona” abusata.
Si dovrà attendere ancora molto perché il Paese cambi la propria visione nei confronti delle cooperative? E nel frattempo? Quelle sane – attenzione ci sono anche quelle marce e malate e vanno perseguitate con ferocia – dovranno guardare lontano e i loro soci essere un po’ pazzi e visionari. Come il matto della nostra storia. Lui, è ancora socio della cooperativa l’Innesto. Quando sta bene lavora quando può e come può, ma si presenta a tutte le riunioni. E quando si alza per parlare tutti stanno zitti e lo ascoltano. Soprattutto quando chiede all’assemblea, al presidente della Provincia Metteo Rossi, ai politici regionali e locali presenti “Se la cooperativa sociale è un bene privato o pubblico”: domanda così razionale e pertinente che in Italia può farla solo un matto.

 

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