La legge antimafia è legge. Bene. Ma non basta a combattere la cultura mafiosa. Questa è altro. E’ un volto persino più cattivo e pericoloso delle decine di declinazioni del fenomeno. Nel luogo comune, in Italia tutto quello che sfocia nel criminale è mafioso. E anche quello che sfocia nella cafoneria. Persino dell’anziano agricoltore incazzato con il mondo per i tanti anni e i pochi soldi in tasca si dice “Quello, guarda. Quello ha lo sguardo mafioso”. O del delinquentello da pochi soldi, il bullo semianalfabeta con l’Alfetta viola truccata si dice, “è un mafioso”.
I grandi mafiosi sono pericolosissimi ma pochi. I mafiosi da film, come i Soprano, sono invece maschere.
Quelli che devono preoccupare molto e invece preoccupano poco sono i più pericolosi. Sono i mafiosi che non chiamiamo “mafiosi”. Spesso sono i vicini di casa, gli amici, i colleghi di ufficio. A volte uno di loro ci guarda attraverso lo specchio la mattina. Sono autori di invisibili sodalizi criminali tra persone comuni.
Gli sciacalli che hanno trasferito ad Amatrice la residenza, per ricevere il sussidio per i terremotati, sono mafiosi. Mafioso è chi usa il pass per disabili o si fa avere un posto auto davanti a casa senza averne diritto. Mafiosi loro e chi glielo permette. Sono quelli che percepiscono pensioni senza averne diritto. I falsi invalidi. Il barone universitario che obbliga gli studenti a scappare quando dice loro “Tu sei bravo, ma non spetta a te quel posto di ricercatore perché non è il tuo turno”. I ragazzi raccomandati che a loro volta raccomanderanno, perché educati a fare questo. I leoni da tastiera, gli odiatori digitali, gli haters sono mafiosi quando creano depravati sodalizi per perseguitare col terrore e la minaccia le loro vittime, cercano di ucciderne la voglia di esprimersi liberamente, di postare liberamente una foto sui social. La più grande fabbrica di mafiosi, non sta nei Palazzi, nei covi segreti, a Scampia o a Palermo. I grandi mafiosi sono come i mostri di Primo Levi: pericolosi, ma pochi.
C’è un bel libro che andrebbe letto. S’intitola Uomini ad Auschwitz. Tra le migliaia di testimonianze che l’autore, l’austriaco Hermann Langbein, utilizza c’è quella di un’internata nel lager forse più noto nella memoria collettiva. Grete Salus dice “Ho paura degli esseri umani. Non ho paura di niente di più degli esseri umani. Del come possano diventare buoni o cattivi: per questo non c’è alcuna misura, nessuna base, nessuna certezza. Normalmente le situazioni della vita e l’educazione fanno sì che né il bene né il male possono crescere a dismisura. Qui c’erano piccoli impiegati, operai, ragazze giovani, donne. Tutta la malvagità che era in ciascuno di loro in altre condizioni si sarebbe sfogata al massimo in pettegolezzi, imbrogli, tirannie nell’ambito familiare”.
Così la mafia è come la cattiveria umana, nessuna legge può sconfiggerla, se non una nuova cultura del vivere comune.